mercoledì 12 marzo 2008

5° Biblico: Cantico dei Cantici

Appunti dell'incontro del 7/03/2008
con don Cesare Pagazzi


Cantico dei cantici, capitoli 6 e 7 (da Ct 6,4 a Ct 8,4)




Affrontiamo ora il poema più forte di tutto il Cantico, che attraversa il capitolo 6 e 7. Un capitolo che comprende descrizioni reciproche dei due amanti, che potremmo definire osé, e che sicuramente non risparmiano sui dettagli.

Inizia ad essere descritta la donna con una tecnica di opposizione polare, cioè che dice qualcosa dei due estremi per comprendere anche ciò che sta in mezzo: la donna è come Tirza, la città più bella nel nord di Israele, e leggiadra come Gerusalemme, che splende nel sud; e ancora il suo volto è bello perché incorniciato dai meravigliosi capelli corvini (v.5) e dai denti perfetti (cosa allora non comune, al v.6). E' da notare che la bellezza è pure terribile, addirittura pericolosa! Questo ci porta a pensare che l'uomo provi piacere nel vedere la donna, ma rimanga turbato dallo sguardo con cui lei risponde. Questo tratto è importantissimo ed è caratteristico delle relazioni vere, in cui uno guarda ed è guardato, parla e gli si risponde: è più facile guardare una cosa, che è a disposizione, che non una persona, che chiede conto del modo in cui viene guardata, e interpella e magari giudica le intenzioni di chi guarda. Diverso è vedere una foto di donna dal guardare una donna negli occhi! E voler guardare senza essere guardati è temere la realtà delle relazioni, volersi rifugiare in un mondo fittizio: aver paura della verità. Nello stesso modo gli indemoniati del Vangelo temono la vicinanza e lo sguardo di Gesù, dicendogli: "Perché sei venuto a disturbarmi?". Ci sono
fisiologici momenti di distanza nelle relazioni, ma occorre sempre stare attenti che non diventino patologici, cioè diabolici.
E se lo sguardo di un uomo/donna turba, a maggior ragione turba quello di Dio: sarà di interesse, o di sfida, o di giudizio? E' qui che interviene la parola, che spiega ciò che manca allo sguardo: infatti noi sappiamo che Dio ci guarda, ma è perché Lui ci ha parlato che sappiamo che il suo sguardo è Amore!

- Osserviamo che in tutto il Cantico, e come viene ancora sottolineato al v.9, nonostante la poligamia fosse pratica diffusa all'epoca, viene di fatto proclamata l'esigenza della monogamia, per soddisfare veramente il bisogno di amore umano, che è totalizzante e non lascia spazio per compromessi o vie di mezzo. Interessante come proprio questa scelta, prima ancora che essere etica o frutto di grandi riflessioni astratte, sia viva e inscritta nell'animo umano, che quando ama non ha posto che per l'unica/l'unico (v.9).

- Altro spunto interessante è da leggersi nel modo in cui le altre donne vedono la diletta: non con invidia o gelosia, ma con semplice ammirazione e gioia per la sua fortuna. Questo non è così comune, e dovremmo riflettere come spesso invidia e sentimenti simili spesso nascano negli altri a causa di una presunzione o superbia dell'eletto, che ustiona chi gli è vicino con la sua fortuna/dotazione/abilità, spargendo sale sulle ferite aperte di chi ha di meno, e causandone la ribellione. Esemplare in questo senso la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, che mostra il dramma che può nascere dalla superbia lasciata a piede libero.

- Il "giardino" che l'uomo visita si può intendere anche in modo figurato, come lo è "la vigna" dei canti precendenti; e questa interpretazione è rafforzata dal v.12, dove egli è tanto preso dalla donna da mormorare un "non so", che suona estatico, di quell'estasi che non fa capir più niente, e che da un osservatore esterno fa dire: "quello è pazzo d'amore". Ma l'esperienza del non sapere qualcosa è profondamente umana: rivela i nostri limiti e dà così forma alla nostra persona. Ma non solo: nel Vangelo, l'unico che sembra saper sempre tutto è il diavolo, mentre perfino il famoso seminatore-Dio della parabola di Mc 4 non sa come crescerà il seme!

- E' poi il coro che canta un intermezzo, nel primo verso del capitolo 7, chiamando l'amata "Sulammita". Questa misteriosa figura femminile è il simbolo per eccellenza della Pace-Shalom (che nella cultura ebraica è la cosa migliore della vita), di cui ha la stessa radice: era stata data in moglie a re Davide già vecchio, non già per unirsi a lui (visto che la vecchiaia lo aveva colpito) ma per scaldargli il cuore e il corpo con la sua giovinezza.

- Segue una descrizione completa (bottom-up, dal basso verso l'alto) della donna, evidentemente vestita solo di un leggero velo mentre danza per il suo amato. Descrizione particolarmente accurata e anche esplicita -ad esempio "l'ombelico" del v.3 è la stessa parola (sir) che in ebraico si usa per il sesso femminile, e in effetti il vino, rosso come il sangue, è simbolo di fecondità. Stupenda quindi l'immagine di un Dio che in Gesù come nel salmo 104 ci dona pane di grano e vino, l'essenziale e il gratuito, la sopravvivenza e la vita che nasce e continua, la resurrezione simboleggiata nel chicco di grano e l'estasi dell'amore. E il peccato non sta nel desiderare l'altro/a, ma nel voler guardare senza essere guardati.

- Al v14, nella mandragola, c'è un riferimento alla fecondità dell'amore: questa pianta mitica, che si diceva avesse la radice a forma di bambino, era ritenuta portatrice di fecondità anche per le sterili. Anche Rachele, moglie di Giacobbe, riesce a concepire Giuseppe, il figlio desiderato, dopo aver bevuto un infuso di mandragola che compra dalla sorella Lia.

Francesco Grossi


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