UNO: "Lettere da Milano"
Proposte per il weekend...
La ditta Sama di Borgo San Giovanni fino a una quindicina d'anni orsono produceva pistoni e parti meccaniche, poi è stata chiusa. L'hanno riaperta domenica scorsa circa cinquecento ragazzi in età compresa fra i sedici e i venticinque anni, provenienti da tutte le parti d' Europa.
Non si sono rimessi però a riprodurre pistoni o parti meccaniche: l' hanno occupata per un rave party.
E come ad ogni rave che si rispetti l' organizzazione non ha fatto mancare niente, musica, cibo, birra, divertimento. Ah, dimenticavo, naturalmente non è mancata neanche lei, ormai regina di tutte le feste, di tutti i sabati sera, il vero streben per divertirsi: la droga, in tutte le sue varianti e specialità.
Naturalmente hanno deliziato i partecipanti della loro presenza anche le forze dell'ordine.
Insomma, una sorta di sagra con qualche variante discutibile.
A darmi tutte queste interessanti informazioni è stato Luigi, un ragazzo di ventidue anni che domenica pomeriggio, finito il rave, si è fermato a bere un caffè nel bar di un mio amico a Borgo San Giovanni.
Visibilmente stanco e provato dalla notte insonne passata a ballare e a..., si insomma a divertirsi, Luigi ha spiegato a me e al mio amico (abbastanza ignoranti in materia) che il rave non è semplicemente una festa, ma è una filosofia di vita, una continua ricerca della libertà, la messa in pratica totale della completa anarchia.
Accidenti, abbiamo discusso il mio amico ed io, a solo un chilometro da noi c'era la libertà assoluta, e ce la siamo lasciata sfuggire così!
Abbiamo infine salutato Luigi e l'abbiamo lasciato andare.
Ah, dimenticavo, Luigi ci ha anche detto di avere un lavoro, una famiglia, una ex convivente e una figlia di sette mesi.
Andrea Ripamonti
Nota dell'autore: il pezzo, scritto anni orsono, vuole fotografare più o meno fedelmente luoghi, tempi, stati d'animo. Un po' schizofrenicamente bipartiti.
DUE: "Fotografia d’un sabato sera: Questione di punti di vista."
22.42, Milano. Finalmente una città. Dinamica, multicolore, colma d’umanità.
Un sabato sera; notte, a dar retta a mamma e papà. Un locale molto in la meta, divertimento il prevedibile tema della serata.
La macchina sembra una piccola cellula viva, con noi dentro, avvolti da parole musica calore e vibrazioni: dispiace quasi abbandonarla al freddo invernale in un anonimo parcheggio di periferia.
Parcheggio che ci dev’essere ma che non si trova: i marciapiedi sono già stati violentati da Golf nerotamarre e Mini ostentate. Macchina più, macchina meno. Riusciamo a trovare un buco, rigorosamente in divieto di sosta. Tanto a quest’ora non girano nemmeno gli ausiliari del traffico.
Ecco il locale, dall’esterno promette bene: giusta dose di scenicità al neon e acciaio e poca gente che fuma pesante sull’ingresso. Entriamo, sfiorando un improbabile aspirante rapper in puro stile harlem e vari metallari vagamente antropomorfi.
All’interno, penombra di tempio dello svago e un rumore che induce al silenzio con la sua forza. Ma questo è solo l’ingresso: girato l’angolo ci aspettano un anfiteatro e un concerto metal. Sul palco il gruppo, scarmigliato e un po’ scimmiesco, ai piedi i suoi adoratori, le mani alzate in ovazione ritmica nella luce lampeggiante; sulle gradinate una folla immota, in apatica attesa dell’apertura della discoteca vera e propria. Stagliati a tratti da sventagliate di riflettore, creano un curioso contrasto con i fan sotto il palco: lì sulle gradinate: minigonne vodka e gel; laggiù nell’arena: chiome, maglie nere e odor d’uomo.
Il metal non è proprio il nostro genere e guadagniamo una posizione in cima ai gradoni, scambiandoci brevi frasi urlate, commenti e sorrisi.
Un drink in mano, osservo dall’alto la scena, rifletto. Il cantante grida rauco qualcosa già sentito e assapora il suo quartodora di popolarità, scagliando onde sonore con l’anima: il bicchiere che ho in mano trema. Poco sotto di me il tecnico luci si scatena, sforzandosi di portare il locale qualche metro più in alto verso il cielo. Credo che ci stia riuscendo, almeno per quelli là in basso, che sembrano aver trovato il loro dio personale per questo sabato sera. Tutto intorno a me individui, tutti uguali nei loro jeans e bicipiti e aria sicura e sprezzante quanto basta per sembrare grandi e esperti. Qui non ci sono novellini: solo, ogni tanto, perdenti: quelli che non riescono a fingere abbastanza bene.
Sorrido alle luci: chissà se quelli pensano lo stesso di me. Già, cosa mi rende diverso da loro? Subitaneo moto di solidarietà per il mondo. Ma il gruppo metal se n’è andato, e il rock ballabile inizia. Siamo un attimo restii, quasi vergognosi nella consapevolezza della nostra goffaggine, ma è un attimo, e con un sorriso d’intesa c’alziamo. E via nell’arena, lasciandoci colpire dalle vibrazioni della musica e dai corpi di altri come noi. All’inizio artificiosi, poco convinti. Ma poi senti le note del tuo gruppo preferito che quel grand’uomo del dj s’è deciso a metter su, e tutto diventa più facile. Inventi passi, salti, gridi con muscoli e nervi la tua voglia di vivere. Non ti senti più nemmeno goffo, e le persone che ballano insieme a te sembrano quasi fratelli. Perfetti sconosciuti, resi vicini da una passione comune.
Cos’è l’uomo da solo?
Francesco Grossi
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