Prosegue la nostra rubrica "Siamo fatti così" con l'intervento di Monica Guida, che presenta il suo corso di Laurea e Laurea Magistrale. Monica studia all'Università Statale di Bologna.
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Quando ero piccola, avrei tanto desiderato essere rapita da una tribù di Cheyenne. Ricordo che tornavo spesso su questa fantasia. Ci ricamavo delle vere e proprie avventure, componevo dialoghi. Io, donna bianca, sarei riuscita a conquistare il cuore del più valoroso. Il figlio del capo avrebbe domato per me un branco di cavalli e sarebbe stata una bellissima storia di amore, di caccia ai bisonti e di tende indiane. Crescendo, libri, film, racconti di professori e di amici mi hanno aiutata a coltivare questa mia passione per gli usi e costumi degli “altri”, mi hanno suggerito che è possibile fare un giro molto lungo attraverso le terre, le culture degli altri, un viaggio fuori di sé, a ridosso di nuove abitudini, per tornare diversi.
La mia scelta per la facoltà di Scienze Antropologiche dell’Università di Bologna cadde durante il penultimo anno del liceo. Sfogliando l’elenco delle scelte possibili avevo scoperto che il mio sogno di bambina poteva tradursi nei termini di “Civiltà Indigene d’America”, un esame impegnativo previsto per il terzo di corso. Aldilà dei forti richiami e delle belle trovate, il mondo dell’antropologia mi si è da subito squadernato davanti non tanto come un piano di studi, piuttosto come un’intrigante e rischiosa terra di frontiera, come una cintura che stringe alla vita il cercare, il costruire umano e che fa pronunciare d’un fiato, con stupore, quel che del resto recita anche uno splendido salmo: “Che cosa è mai l’uomo?” (Salmo 8)
Ciò detto, parlare di Scienze Antropologiche in Italia piuttosto che all’estero, non è proprio la stessa cosa. I dipartimenti italiani, dai primi decenni del secolo XX, hanno preferito un taglio socioculturale, lasciando l’antropologia fisica e l’antropometria (per intenderci lo studio del processo di ominazione e la misurazione dei reperti ossei) agli approfondimenti trasversali della biologia e dell’archeologia.
Per quel che riguarda la mia esperienza bolognese, ad un primo ciclo triennale sto facendo seguire il corso di laurea specialistica/magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia.
Ma cosa si intende per “discorsi intorno all’uomo”, “culture”, “identità”, “etnie”? Cosa fa un antropologo quando è al lavoro? Quali sono gli attrezzi del mestiere? In concreto, un antropologo fa ricerca di campo: questo vuol dire che a partire da alcune curiosità circa uno o più aspetti della comunità, del gruppo o della classe sociale scelta per l’incontro, cerca di sviluppare la sua pista basandosi sui risultati raggiunti dagli altri suoi colleghi e dalla propria esperienza di coabitazione fra la gente disposta ad ospitarlo. Una volta insediato sul campo, il suo obiettivo è quello di indagare e comparare alcuni interessanti aspetti della cultura autoctona. Ecco che grazie ad osservazioni, a interviste, a scatti fotografici e a fiumi di inchiostro, di schizzi, l’antropologo getta le basi di quello che, ora della fine, sarà dato alle stampe come una monografia o un saggio etnografico. Per poter comprendere a fondo come gli altri vivono e si rappresentano in società è importante lasciarsi coinvolgere, mangiare lo stesso cibo, vincere gli scoraggiamenti con interrogativi continui: come si alternano i ritmi del lavoro quotidiano e delle festività? Come si svolgono e cosa riguardano le principali cerimonie? Quali pratiche e quali specialisti rituali richiedono? Come si lega una comunità al suo territorio? Come circolano i beni e le risorse economiche? Come si articola la divisione sociale del lavoro? Quali eventi segnano il passaggio alla vita adulta? Come si riscontra l’appartenenza al genere maschile o femminile nella società? Quali sono le forme di pena e compensazione previste dal gruppo? Malattia e salute, nascita e morte, con quali forme rituali vengono trasmesse da una generazione all’altra? … Le domande si susseguono a non finire, indice che la questione dell’uomo vivente, animale sociale, agente al contempo creativo e coscritto da formule istituzionali, è affar complesso e richiede continuamente di essere ampliata, ragionata, rivista.
Tanto più che dall’avvento dei mezzi di trasporto veloci, delle multinazionali e di internet siamo nell’era del “villaggio globale”, della rete di incentivi e catastrofi che riguarda tutti, che avvicina e confonde quelli che fino al secolo scorso valevano come divari incontrastati fra società civili e minoranze tribali.
Proprio per questo e per venire incontro ad esigenze diverse, contraddittorie, negli ultimi decenni l’antropologia si è impegnata a dar vita a rami interdisciplinari e contigui, tutti ugualmente intriganti: antropologia delle religioni, antropologia politica, antropologia filosofica, del paesaggio, del folclore, del corpo, del sapere medico, delle donne e degli studi di genere.
Come dire: stiamo lavorando per star dietro all’inesausta, impressionante creatività di tutti gli homo habilis e sapiens sapiens a zonzo per il pianeta… Non mi resta che ricordarvi di prender con voi carta, penna, sensi vigili e spirito di caparbia avventura. Buon viaggio tra i vicini e i lontani!
Anthropos Monica Guida
Primo anno di LM in Antropologia Culturale ed Etnologia
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