Appunti dell'incontro biblico del 02-10-09
con don Cesare Pagazzi
Il nome Qoelet deriva dall’ebraico קהלת e significa uomo incaricato a riunire l’assemblea; i greci la tradussero con l’espressione Ecclesiaste, ovvero "uomo di Chiesa", che significa comunità.
Questo libro fa parte dei Libri sapienzali quindi fa parte nell’Antico Testamento ed è collocato prima del Cantico dei Cantici, in quanto fa stare bene, dà salute (questo posizionamento non è stato messo a caso).
La sua “entrata” ha suscitato dei problemi, in quanto per alcuni non avrebbe dovuto essere inserito nella Sacra Scrittura. In realtà questi disaccordi derivavano dal datto che Qoèlet è un libro che si presta ad essere interpretato male, e infatti si pensava che fosse per persone tristi, e che contenesse un messaggio epicureista del tipo "quando muori tutto finisce, quindi meglio darsi da fare ora". In realtà una lettura profonda spazza via questi dubbi.
La sua lettura si può considerare un antidoto per tante malattie dell’anima: Qoelet è uno che ha provato tutto nella vita, e giunge con la sua esperienza a demolire tutte le illusorie convinzioni che ci facciamo sul valore delle cose, lasciando spazio per le giuste convinzioni. E' come un architetto che saggi un bellissimo edificio per vedere se sia solido; l'edificio crolla miseramente, ma sotto le rovine si trova solida roccia su cui ricostruire una casa che non crollerà.
Tratta di un monologo di un re che ha prerogative regali ossia ha poteri e doveri che altri non hanno. Alcuni studiosi datano la sua creazione 150 anni prima la Nascita di Gesù a Gerusalemme (quindi a sud della Palestina) ma ricerche recenti lo collocano tra il IV-III Secolo a.C a nord, in Galilea (quindi a nord della Palestina).
Il nord della Palestina di quest’epoca era un'area di grandi commerci, molto fiorente ed efficientista.
Analisi del primo capitolo.
Qo 1, 1-12. In questi versi viene proposta prima una risposta (vanità delle vanità, tutto è vanità) e poi una domanda (Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?). Qoèlet spazza via le nostre illusioni.
Gli uomini sono affannati a lavorare per raggiungere il progresso.
Progresso = novità
Novità = originalità, caso unico, qualcosa di singolare. (Molti testi delle Sacre Scritture ci parlano di novità, per esempio Israele che viene liberata dall’esilio; Israele vista come idea di futuro etc.)
Qoelet però dice che il tuo “caso unico” è più generale di quanto tu lo percepisca. Ci intima di non fidarsi delle novità in quanto quello che stiamo vivendo è già accaduto (Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa).
La vita è un grande impegno e ci fa capire che ricordando prima o poi tutti saremo dimenticati.
Qo 1, 12-18. In questi versi Qoelet viene visto in diversi modi: regale, studioso/ricercatore e saggio (in quando viene paragonato al re Salomone. Qoelet dice che il sapiente è il maggior sofferente (…chi accresce il sapere, aumenta il dolore…) e che i conti è difficile che tornino (quel che manca non si può contare…).
Qoelet e il libro dei Proverbi, pur facendo parte dei Libri sapienzali, sono discordanti tra di loro: mentre il secondo alimenta la teoria della Retribuzione, secondo cui un uomo giusto e saggio è premiato da Dio e dagli uomini già in vita, Qoèlet (come Giobbe, e il profeta Geremia) smantella questa convinzione.
Qoelet è un libro che distrugge ma nello stesso tempo permette di edificare.
Caterina Pezzoni
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