con don Cesare Pagazzi
Vizi e virtù: La superbia
Se dovesse mai capitarvi di chiedere a bruciapelo a qualcuno cosa richiamano in lui le parole virtù e vizio, molto probabilmente vi risponderà con “Bene e Male”, “lati positivi e lati negativi di una persona”, “debolezza e costanza”. Perché sostanzialmente son questi i significati che attribuiamo loro.
Di per sé, virtù deriva da vir, parola latina che sta ad indicare l’uomo. È interessante perché mentre homo sta a significare sia maschio che l’umanità - intesa come genere umano - , il vir è l’uomo realizzato, “compiuto” anche fisicamente; l’uomo che ha una volontà forte, robusta: virile appunto.
La virtù indica perciò una forza, una potenza. La potenza corporea si acquista mediante l’esercizio e la forza si mostra nella sua pienezza nel momento dello sforzo. È lo sforzo che dimostra che sono forte. Questo perché non esistono forze in sé. Dunque non bisogna spaventarsi nel momento in cui ci troviamo sotto sforzo, perché è proprio in quella occasione che possiamo vedere se c’è la virtù, la forza. Lo sforzo non è qualcosa di negativo (nemmeno quel particolare sforzo che prende il nome di tentazione), ma è il luogo di emergenza della forza.
L’origine della parola vizio invece, in latino, rimane un po’ oscura, anche se, sin dalla sua prima apparizione nei testi, le viene attribuito il significato di “difetto”, probabilmente di tipo fisico. Questa parola indicava quindi una deficienza fisica che impediva di essere vitalmente prestanti. Se da una parte le virtù sono quelle che rendono prestanti una vita, i vizi, dall’altra, sono quelle realtà che indeboliscono la vita.
Come le virtù sono risultato di un esercizio, così anche i vizi sono il risultato di un paradossale allenamento, tant’è che sono paragonati alle cattive abitudini. Il vizio è perciò il frutto maturo di una cattiva abitudine.
Tenendo sempre questo sfondo corporeo, potremmo dire che il vizio è il risultato di una postura sbagliata che prolungata nel tempo deforma il corpo.
I vizi capitali sono i vizi più importanti: affinato l’occhio su questi, si è entrati in possesso di uno strumentario piuttosto raffinato per conoscere un po’ i segreti dell’anima. Comprendere l’origine dei vizi deve però avere una funzione fisioterapica, cosicché possiamo evitare quelle posture sbagliate che possono deformare il nostro corpo a tal punto che o non si riesce a tornare indietro o la correzione provoca molto dolore.
Tra i vizi capitali, spicca la superbia. Già in un passo del Siracide (10, 12 e seguenti) si fa menzione a questo vizio:
Principio della superbia è allontanarsi dal Signore
Il superbo distoglie il cuore dal suo creatore.
Principio della superbia è infatti il peccato;
chi ne è posseduto diffonde cose orribili.
Perciò il Signore ha castigato duramente i superbi
Li ha abbattuti sino ad annientarli.
Il Signore ha rovesciato i troni dei potenti
Al loro posto ha fatto sedere i miti.
È interessante notare come sia nella Sacra Scrittura sia nella letteratura non cristiana vi sia una sorta di intesa di tutti questi commentatori dei vizi circa la superbia, ovvero tutti sono concordi nel descriverlo come un vizio, per certi versi, molto insidioso. Con la superbia bisogna stare molto attenti, perché la linea di demarcazione tra “Bene e Male” viene sfumata e non ci si accorge di cadere, così, nel vizio. La superbia è ingannevole a tal punto da confondersi con il Bene.
Di per sé il superbo è una persona molto consapevole dei suoi punti di forza. I punti di forza sono tutte cose buone, ma la superbia, facendo presa su di essi, li esaspera. La superbia nasce da una specie di fissazione sui punti di forza della nostra persona. Questa fissazione obnubila la visuale di altri aspetti della mia vita.
La superbia quindi nasce da questo banalissimo meccanismo: rendersi conto di avere una qualità in cui ci si sente forti , fissarsi su di essa e dimenticare le nostre debolezze. Mi accorgo di essere molto intelligente, ma “dimentico” di essere anche violento, aggressivo, pigro e incostante.
La prima dinamica (ad intra, dentro di noi) è dunque una concentrazione su alcuni nostri punti di forza tale da renderli così ipertrofici da eclissare aspetti meno luminosi della nostra vita, e/o, paradossalmente, anche altri punti di forze.
La seconda dinamica che si mette in moto (ad extra, fuori di noi) è usare il nostro punto di forza come unico metro col quale giudichiamo gli altri.
Tutti i vari commentatori, proprio per le caratteristiche di questo vizio, invitano a vigilare perché in genere il superbo è una persona molto capace, che sa far fruttare il proprio punto di forza. Dato che il punto di forza è un bene, il superbo è convinto di fare una cosa giusta. E per certi versi è vero.
Se ad esempio faccio un atto di carità o mi sento molto portato nella carità e la carità è un mio punto di forza, io vedo solo quello. E giudico in forza di quello. Ma attenzione che questa dinamica, per la sua bontà, potrebbe invece mascherare una superbia molto radicata. Dove la carità non è cercata per il bene, ma è cercata per eccellere.
Ma la radice delle radici della superbia potrebbe essere un’altra postura sbagliata dell’anima, ovvero la visione irreale di se stessi. Il superbo è una persona che dà troppo credito a una visione immaginifica di sé. È una persona la cui idealità è straordinaria. Questo si specchia anche nel modo in cui vede le relazioni.
Avere una percezione realistica di un legame rende il legame possibile. Avere una percezione irreale, ideale (nel senso deteriore del termine) del legame, rende il legame impossibile.
Avere una percezione irreale di sé rende noi delle persone impossibili, anche da sopportare.
Il superbo, in forza di quella fissazione di cui dicevamo, ha una percezione irreale di sé; fondamentalmente il suo difetto è il narcisismo: il narcisista è colui che ha un’immagine così alta di sé che non può permettersi di non essere all’altezza. Anche a costo di non riconoscere i proprio limiti e i pregi degli altri. Per questo a volte il superbo è violento, perché dovendo eccellere schiaccia gli altri. È un maniaco delle prestazioni, che non può permettersi un momento di stanchezza o di debolezza.
È sempre interessante che per la Scrittura fondamentalmente il superbo non ha un’immagine reale di sé perché non si accorge di un dato elementare ed oggettivo della sua realtà, ovvero che “non ha nulla che non abbia ricevuto”. Sicché il superbo non chiede mai e non ringrazia.
Dicevamo che è un po’ il vizio dei perfetti, dei capaci; ma anche degli incapaci. E questa è la forma sub contrario della superbia, molto più sottile. È quella di chi dice “io non so fare niente” o di chi non prende nessuna decisione. Il superbo “indeciso” è quello che in fondo non vuole perdere nulla. Rimane nell’indecisione per la pia illusione di non rinunciare a nulla e di possedere tutto. È colui che, sentendosi esentato nel cimentarsi, evita il rischio di sbagliare, difendendo l’immagine ipertrofica di sé.
La superbia è la fragilità del vincente cronico, ma anche la fragilità del perdente cronico.
La superbia a volte è vista come un vizio soltanto dell’anima, ma in realtà è imparentata con un vizio della carne. Alcuni maestri spirituali chiamano infatti la superbia “la lussuria dell’anima” e chiamano la lussuria “la superbia del corpo”. Perché il lussurioso, il seduttore, colui che vuole approfittarsi del corpo dell’altro, ha sempre un senso di superiorità che lo legittima a tutto. Per cui io posso trattare quell’uomo o quella donna come voglio perché me lo posso permettere. Posso permettermi di giocare con le persone, anche col corpo delle persone. In questo senso il seduttore ha una affettività fredda. Sembra molto interessato, ma non a tal punto da incontrare questa persona.
Per San Tommaso D’Aquino la medicina contro la superbia è la condivisione. Provare a condividere la situazione dell’altro quando sto giudicando l’altro.
La correzione della superbia non la si ottiene dunque con un bagno di umiltà (paradossalmente infatti uno può essere superbo anche per la sua umiltà), castigando le nostre capacità, bensì imparando ad avere una visione reale della vita, del mondo, di sé. Bisogna ritornare a guardare le cose come stanno. Si deve riacquistare la capacità di cogliere la complessità delle situazioni, delle persone, senza semplificarle.
Un’altra cura la si ritrova nella correzione fraterna, cioè dell’altro che mi può buttare in faccia una cosa così evidente di me che però io non riesco a vedere. Questa correzione può capitare sia nella sua forma più raffinata, il dialogo, ma anche nella forma del litigio, dell’interruzione di un rapporto; talvolta può venire a me come una grazia per mano del nemico.
La superbia nasce dalla semplificazione della nostra complessità ed è per questo che è molto insidiosa. Fa leva su qualche cosa che è vera e buona ma che non è tutta la verità; per questo motivo anche la cosa buona e vera diventerà cattiva e falsa. “Io sono intelligente” è vero, ma non hai detto tutto il vero. Se non dici tutto il vero semplifichi, e, prima o poi, dirai il falso.
C’è anche un ultimo aspetto che va tenuto presente. Stando alla Lettera agli Ebrei, il male è la risposta maldestra a una paura. La superbia, da quale tipo di paura trae origine? Da una paura narcisistica di deludere sé stessi, che non ammette la necessità di un legame con gli altri, che non ammette che io ho bisogno degli altri.
Amedeo Brambilla
2 commenti:
Mi sento come descritto.
Quando ho letto questo articolo, mi sono sentita smascherataa...quale punizione più dura per una persona come me, che da sempre dichiara di non aver bisogno di nessuno nella vita? Di fatti se riesco a reinserirmi nel mercato del lavoro, oggi per la prima volta devo dire grazie a qualcun altro. E la cosa mi fa male, per poco non rifiutavo, talmente la mia superbia...
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