Appunti dell'incontro teologico
con don Cesare Pagazzi
"L'ira di Achille" affrescata da Giovanni Battista Tiepolo
Il vizio capitale trattato in quest’incontro è l’ira.
L’ira, nei miti classici, è stata talvolta presentata non come un vizio ma, al contrario, è stata ritenuta degna di essere narrata. Emblema di questa ira è Achille (il prologo dell’Illiade recita così: “Cantami, o diva, del Pelide Achille/ l’ira funesta che infiniti addusse/ lutti agli Achei…”), eroe la cui ira è causa, decantata, della morte di molti nemici.
Galeno, medico greco del II secolo D.C., giustificava un comportamento iroso con l’eccessiva produzione della bile.
L’ira presenta molti aspetti ambivalenti.
Innanzi tutto, l’ira è il peccato che non si riesce a tenere nascosto: è esplosiva. Da un lato, pertanto, essa risulta molto aggressiva per chi la subisce e allo stesso tempo umiliante per chi l’agisce, poiché l’iracondo viene subito riconosciuto come tale. D’altra parte, questo vizio è segno di una forte energia vitale, indica che una persona si ribella a un torto, vero o presunto, che egli sente di aver subìto.
Inoltre, in passato, l’ira era considerata un sintomo del mancato dominio delle passioni, in particolare dagli stoici, i quali predicavano, invece, il loro completo controllo, l’apatia. Pertanto essa andava combattuta. La Bibbia presenta, però, un Dio irato, soprattutto nell’Antico Testamento, e poi anche un Gesù Cristo che rovescia i tavoli dei venditori nel Tempio (Gv, 2, 13-17). L’ira divina è un eccesso di “pathos” in difesa di qualcuno che è stato offeso. Nel Magnificat, ad esempio, si dice “ha rovesciato dal trono i potenti, ha innalzato gli umili”. L’ira di Dio non ribalta solo la situazione, favorendo i deboli, ma permette anche agli oppressori, ai forti, di comprendere; è un’ira “amorevole”.
Un attacco d’ira scatta perché un’attesa che si riteneva giusta non si è verificata oppure per un torto o un’offesa subita. È un modo per riconquistare ciò che giustamente o a torto è stato negato.
L’ira è circoscritta: è provocata da un motivo ben preciso e termina con la fine dell’evento scatenante (al contrario, l’odio è un’avversione costante, prolungata nel tempo e immotivata).
Un episodio di ira può però nascondere delle radici più profonde. In alcuni casi l’ira può essere una manifestazione d’invidia, altre volte può essere causata dalla mancanza del senso della realtà: aspettative troppo alte che non si riescono a raggiungere possono scatenare rabbia, anche contro se stessi.
L’ira talvolta risulta necessaria perché espressione di energia, perché può difendere un bene.
La “pazienza irragionevole”, il continuare ad assecondare le richieste dell’altro, l’incapacità di dire di no e di arrabbiarsi è, alla lunga, causa di rotture dei legami, soprattutto nelle relazioni più importanti e intricate, come tra fidanzati o amici.
In più, possiamo considerare l’ira come un’occasione sia per chi subisce di correggersi, se effettivamente aveva fatto un torto, sia per chi la compie, perché permette di conoscere meglio se stesso e gli altri.
Se l’ira, in virtù della sua necessità e della circoscrizione a un episodio, può risultare un vizio “simpatico”, bisogna però stare molto attenti e imparare a “usarla” bene. Difatti, come detto in precedenza, essa può avere origini profonde e, inoltre, gli effetti sono pericolosi per la persona che li subisce, la quale può rimanerne ferita.
Un continuo ricorso all’ira può portare a fare di questa uno stile di vita, un linguaggio; un iracondo si sente sempre in credito, scaricando sugli altri la propria rabbia, ma non si rende conto del male che causa.
Chiara Tanelli
Nessun commento:
Posta un commento