mercoledì 17 ottobre 2007

1° Culturale: patologi e bioetica

Appunti dell'incontro culturale del 12/10/07
con la dott.sa Mariagrazia Di Rocco

Innanzitutto un'introduzione su cosa vogliamo approfondire nei nostri incontri culturali quest'anno: la
bio-etica, o etica della vita. L'etica è ciò che motiva le nostre decisioni importanti, in altre parole è con l'etica che cerchiamo di distinguere il bene dal male; la bioetica in particolare si occupa di quelle questioni che emergono nel particolare campo della salute e della malattia: dal concepimento alla morte, senza dimenticare tutto ciò che c'è in mezzo, che farà meno scalpore ma è la più gran parte del nostro tempo terreno, dopotutto.
Vogliamo interrogarci su questioni così delicate ed attuali, e per questo diversi professionisti nel campo della medicina verranno a parlare della loro esperienza in fatto di bioetica, in modo da poter osservare le questioni dal punto di vista degli
operatori, e non solo in teoria.
E' oggi il turno di una
patologa, la dottoressa Mariagrazia Di Rocco, che lavora in un ospedale privato convenzionato (quindi non "irraggiungibile" per i costi, ma simile alla sanità pubblica)

Innanzitutto inquadriamo il mestiere del patologo: è un medico particolare, che lavora
dietro le quinte della sanità, coperto alla vista del paziente (che non incontra quasi mai) dai medici clinici, coloro che effettivamente
visitano la persona. Il reparto di patologia è quello a cui vengono spediti campioni (e.g. le biopsie) di tessuti o di organi asportati (come l'appendice), o dove vengono effettuate le autopsie dei decessi "naturali", ovvero dove non ci sia sospetto di cause colpose (qui interviene il più famoso medico legale).
Il patologo vede quindi dei pazienti solo qualche "pezzetto" munito - quando presente - di storia clinica, oppure direttamente il cadavere, per effettuare "l'ultimo atto medico". Per questo rapporto particolare, l'istanza bioetica più pressante è la possibile disumanizzazione del paziente, che diventa cliente o addirittura numero, pratica da sbrigare.
Questa istanza può essere resa più forte dal luogo in cui si lavora, nel caso della dott.sa Di Rocco un ospedale privato, che mira al profitto più che al servizio. Questo fatto non è necessariamente una cosa sbagliata, in quanto la ricerca del profitto deve inserirsi in un contesto competitivo di mercato che costringe a dare qualità in cambio di remunerazione, pena la perdita del paziente-
cliente, ma accentua l'identificazione del paziente con il profitto che è in grado di generare, e spinge a moltiplicare la produttività anche se comporta la perdita della visione dell'umanità del malato - almeno dal punto di vista del patologo, costretto ad effettuare diagnosi a raffica senza necessariamente tener presente che il malato sia persona.
C'è inoltre il fattore interesse scientifico, presente in ogni medico ma nei patologi accentuato dalla distanza col paziente, che fa esclamare "ma guarda che bel tumore!" alla vista di un caso particolarmente critico o interessante. Anche qui il rischio è dimenticare l'umanità del paziente e il dolore che la persona può trovarsi a fronteggiare.

Un'altra istanza è invece subìta dal patologo nell'osservare vetrini testimoni di strane o tremende malattie: è il pensiero del "potrebbe essere il mio polmone ad avere questo tumore", che porta a riflettere come la salute sia dono inestimabile ed effimero eppure dato per scontato, e a chiedersi: "come reagirei io sapendo di avere questa malattia? o sapendo di avere 5 mesi di vita?". La malattia cambia la vita, non necessariamente in peggio (può essere occasione importante di crescita e testimonianza), ma comunque segna una svolta che capita all'improvviso, imprevista e fulminea. Il dolore portato dalla malattia e dalla morte è comunque ben presente, e il patologo deve lottare per non restar travolto dalla valanga di sofferenza che ogni giorno deve analizzare, diagnosticare e ratificare. Il difficile è trovare l'equilibrio tra la partecipazione al dolore e l'indifferenza, ed ognuno deve trovare questo equilibrio.

Ulteriori spunti di riflessione:
-Rapporto pubblico & privato: dove inizia uno e finisce l'altro? Può lo stato decidere se e come devo curarmi (esempio della cintura di sicurezza)? E' etica la sanità privata? E chi decide cosa sia abbastanza importante da poter essere finanziato dal pubblico (Es. interventi di chirurgia estetica)?
-Iperspecializzazione nella società del sapere e segmentazione della conoscenza: ricchezza (potenza dei team interdisciplinari) e problemi (miopia acuta fuori dal mio piccolo mondo dorato).
-I diritti dei medici: la possibilità di sbagliare,
possibilità oggi non concessa ma in realtà possibilità inevitabile. Il punto di vista del paziente non è l'unico in una relazione che coinvolge due o più persone (medico e paziente).

Francesco Grossi

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