giovedì 8 novembre 2007

Partecipare per dirci Cristiani

-Quelli che seguono sono pensieri e considerazioni ispirati dalla scuola di formazione di Napoli e Nola: un’esperienza che mi ha fatto capire qualcosa che va ben al di là delle tematiche affrontate-


“Giovani, voi siete il futuro!”. Quante volte ci è stata rivolta questa esortazione? E sempre da persone che tengono a farci capire quali saranno i nostri obblighi nella società del domani. Senza, però, accorgersi di commettere un grosso errore. Nonostante siano spinti da buone e oneste intenzioni, essi non comprendono che nel futuro noi non saremo più ragazzi, nuove e fresche leve pronte ad entrare attivamente in un mondo, a cui ormai ci saremo abituati, e che non avremo più la forza di cambiare, di migliorare. “Giovani, voi siete il presente!”: questo è ciò che vogliamo sentirci dire. Tocca a noi ora, subito essere il presente, essere il cambiamento, essere la novità, essere un’aria più pulita, insomma: essere qualcosa. Senza perdere tempo, perché continuando ad aspettare il nostro turno, finiremo per adagiarci sul letto della nostra quotidianità e perderemo l’attimo buono per dare voce a quello che abbiamo il diritto e il dovere di esprimere. Prima che i nostri sogni, il nostro slancio e desiderio di mutare in meglio la nostra vita e quella degli altri, si spengano lentamente, occorre agire.

Certo, il cammino che ci aspetta non è facile, ma questo è il momento di iniziare. Innanzitutto occorre svestirci di quella pelle di indifferenza che ci rende impermeabili a ciò che ci circonda. A guidarci deve essere un moto di interesse per l’altro, per tutto quello che è fuori di noi, un sentimento di solidarietà per il prossimo e per l’ambiente in cui viviamo, e di comprensione della sofferenza che sta vivendo qualsiasi nostro fratello, anche lontano. Richiamando un’espressione tipica dell’opera di educazione di don Milani, potremmo dire che “I care”, m’interessa, è il motto che ci deve contraddistinguere, da contrapporre al “chissenefrega” (di ben diversa origine). Occorre dissetare la nostra sete di conoscenza, incominciare a conoscere quale mondo abbiamo attorno e dove ci troviamo a vivere. Questo è l’obiettivo che dovrebbe prefiggersi la scuola in primis, e con essa tutti coloro che educano e formano nuovi uomini. La formazione: ecco il nostro punto di partenza per diventare davvero uomini dotati di senso critico, che conservano la libertà di pensare e di vivere ogni giorno, consapevolmente, la forza della loro umanità.

Solo chi conosce, infatti, sa come cambiare le cose. E può esprimere con la pesantezza della conoscenza i propri pensieri. Ognuno di noi ha la facoltà e l’obbligo della partecipazione nella vita sociale. Il confronto con gli altri, il comprendere e l’accettare il loro pensiero, devono diventare una pratica quotidiana per far sentire appieno la nostra presenza in questo mondo, nel segno di una sana e costruttiva convivenza. Inoltre il confronto può essere un ottimo metodo per metterci in gioco, così da accorgerci dei nostri errori e rafforzare i principi su cui si fonda la nostra vita. Eliminando gli odi basati sul niente, la paura del diverso, allontanando le ipocrisie e le smanie personali, ma vivendo con semplice umiltà, in un modo che più vero non potrebbe essere. È proprio condividendo la propria vita con l’altro che ognuno può crescere come cittadino, come cristiano, come uomo.

La partecipazione è un elemento fondamentale e insostituibile anche per chi si professa cristiano. E noi fucini dobbiamo dimostrare, in ogni singolo atto che compiamo nella giornata, la nostra appartenenza a Gesù. Così la partecipazione alla vita sociale diventa un dovere che abbiamo verso Dio. Tutti noi in modo diverso, a seconda delle capacità e delle attitudini, ed esprimendo l’unicità della nostra persona, dobbiamo attenerci alla missione per cui siamo nel mondo: vivere da cristiani, e così professare agli altri la verità che portiamo nel cuore. “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12, 4-5). Il cristiano, che dedica tutta la sua esistenza al bene di quella umanità di cui si sente una piccola parte, non deve sotterrare il proprio talento, ma dare libero sfogo a tutto ciò che di unico e positivo ha dentro di sé.

Senza atti eclatanti, che possano inorgoglirlo e fargli perdere la sana umiltà, ma soprattutto nelle singole azioni della giornata: un semplice saluto, una sincera stretta di mano, il dedicare un po’ di tempo anche a problemi che non lo interessano direttamente, e perfino bere un bicchiere d’acqua (padre Zanotelli docet) sono azioni che, benché sembrino banali, hanno grande rilevanza nella vita cristiana, così come nella vita sociale e politica, che non possono assolutamente prescindere l’una dall’altra.

Per concludere si può citare il ritornello di una bellissima canzone di Giorgio Gaber, che mette in musica quel sentimento di solidarietà, di condivisione di ideali e di rifiuto dell’indifferenza che accomuna tutti gli uomini, cristiani e non:

C’è solo strada su cui puoi contare,
la strada è l’unica salvezza;
c’è solo la voglia, il bisogno di uscire,
di esporsi nella strada, nella piazza.
Perché il giudizio universale non passa per le case,
le case dove ci nascondiamo,
bisogna ritornare nella strada,
nella strada per conoscere chi siamo.


Jacopo Ferrari

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