venerdì 7 dicembre 2007

4° Culturale: Medicinali e ricerca

Appunti dell'incontro culturale del 30/11/07
con il professor Fabrizio de Ponti


"Credere alla medicina sarebbe la suprema follia se non crederci non ne costituisse una ancora piu' grande, giacche' da questo accumulo di errori, alla lunga, sono venute fuori alcune verita'."

M. Proust


In questa tappa del nostro percorso annuale sulla bioetica tocchiamo le problematiche sollevate dal farmaco, strumento di cura effettiva e spesso quotidiana, con le questioni della sperimentazione e messa in vendita dei medicinali e della medicina alternativa.

Il prof Fabrizio de Ponti, presidente del Comitato Etico e docente di Farmacologia, invita a riflettere sulla duplice natura della medicina moderna:
- una componente quasi filosofica, che vede il medico come “padre” del paziente, come figura amica che guida verso la salute da ritrovare
- una componente scientifica, che cerca l'obiettività nel metodo scientifico per sapere quali siano i modi migliori per curare le malattie

Entrambe le componenti sono indispensabili per una buona medicina, che sia umana ed efficace: se l'equilibrio si rompe, si sfocia in degenerazioni, come la medicina accademica troppo piena di sè e quindi inumana o le pratiche più stregonesche che mediche. Bisogna quindi stare ugualmente attenti a non illuderci che grazie al progresso ogni malattia possa essere guarita, perché così non sarà mai, né a lasciarci invischiare in quella cultura del sospetto che porta a diffidare delle cosiddette “caste” fino a rifiutare la medicina tradizionale come solo dannosa.

Un tema sempre vivo è la questione del rapporto costi/benefici di un farmaco, che va valutato attentamente eppure rimane un fattore di inevitabile soggettività dell'atto medico: i rischi e gli effetti collaterali della sostanza sono proporzionati alla gravità della patologia da curare? Ad esempio un farmaco contro il mal di testa deve avere controindicazioni molto più blande rispetto ad una cura per il cancro, altrimenti il rischio è troppo elevato per i benefici che si possono ottenere. La difficoltà sta nel fatto che ogni caso è un problema a sé stante, che richiede valutazioni in cui lo spazio per l'errore è notevole.

Passando all'iter che un medicinale deve percorrere prima di essere commercializzato, è interessante notare come i farmaci tradizionali debbano essere provati sicuri (cioè che non causino effetti collaterali ritenuti eccessivi per i benefici portati) ed efficaci (cioè che portino maggiori benefici dell'effetto placebo). Questo ultimo test viene effettuato somministrando ad un campione di malati il farmaco vero e proprio, mentre ad un altro campione solo un placebo, ovvero una sostanza chimicamente inerte. Un certo numero di guarigioni si osservano anche tra i pazienti che hanno preso il placebo: questo può essere causato da relazioni tra la psiche (fiduciosa nel farmaco) e il corpo, oppure nella bontà del rapporto medico-paziente che aiuta il decorso rapido della malattia... sono effetti presenti, per cui non si ha spiegazione scientifica, e che vengono considerati il termine di paragone che deve essere superato perché un farmaco sia influisca effettivamente sul decorso della malattia.
Per quanto riguarda l'omeopatia, leader della medicina alternativa, non è invece necessario che venga provata l'efficacia del farmaco, e questo perché finora non si è riusciti a provare scientificamente che il farmaco omeopatico sia più efficace del placebo. E' per questo motivo infatti che su questo tipo di farmaci non sia presente il foglietto delle indicazioni terapeutiche, spesso noto come bugiardino.

Un altro aspetto interessante è la sperimentazione che i farmaci devono superare prima della commercializzazione. Si passa dalle prove in laboratorio sulle cavie animali (spesso topi in quanto simili all'essere umano e non esageratamente costosi) in dosi anche 500 volte maggiori rispetto a quanto pensato per l'uomo, alla prova su volontari umani sani, che liberamente e conoscendo il rischio assumono il farmaco, in modo che si possano scoprire i suoi effetti collaterali in un organismo non indebolito da malattia. Se questa fase risulta positiva, si passa alla sperimentazione clinica, cioè su malati veri e propri, nelle corsie dell'ospedale. Questa fase deve ottenere l'approvazione del locale Comitato Etico per la Sperimentazione, che ne valuta l'importanza, l'affidabilità scientifica e l'utilità, cioè se effettivamente quella medicina migliorerà la lotta contro la malattia, e del paziente su cui si vuole sperimentare la terapia, che deve poter avere una panoramica completa sulle sue possibilità di cura ed effetti collaterali.

Oltre alle sperimentazioni effettuate dalle case farmaceutiche, ricordiamo la ricerca no-profit, che non ottiene guadagno dalla sperimentazione (ed è infatti finanziata da fondi ottenuti da tutte le aziende sanitarie). La legge prevede che un nuovo farmaco possa essere venduto solo se presenta almeno la stessa efficacia di quelli già in commercio, ma nessuna casa farmaceutica si presta ad un confronto testa-a-testa con i concorrenti. E' qui che interviene la ricerca no-profit, che effettua statistiche di paragone tra l'efficacia dei vari medicinali concorrenti, per aiutare a stabilire quale effettivamente sia migliore.

A proposito della ricerca, è stato importantissima la modifica fatta nel 2004 alla legislazione vigente, che da una definizione di principio che vedeva le università come luoghi per la ricerca e gli ospedali come luoghi di assistenza, è passata a una visione in cui ricerca e assistenza sono inscindibili, per cui la ricerca clinica ha ottenuto un importante riconoscimento: si vede ora come la ricerca sia parte stessa dell'assistenza, in quanto la migliora continuamente.

Tra le altre questioni sollevate dalla medicina ricordiamo:
- il costo della terapia per il servizio sanitario nazionale, che può essere molto elevato, anche diverse centinaia di migliaia di euro per paziente. Il problema è che i budget non sono illimitati, e allora occorre trovare un metodo per stabilire se una certa cura possa essere pagata o meno dallo stato. Quanto sono disposto a pagare per la salute? Attualmente si usano stime che assegnano un valore monetario alla vita, per cui lo stato può arrivare a pagare cure fino a circa 50 000 € per ogni anno di vita che la terapia regala al paziente, ma una risposta definitiva non ci sarà mai.
- le sperimentazioni sugli animali, spesso contestate sia per le sofferenze causate, sia perché a volte la diversità tra uomo e animale è tale da minare l'estrapolabilità dei dati ottenuti dalle prove sulle cavie, è comunque necessaria almeno per sgrossare in parte gli effetti collaterali più visibili; l'alternativa è la sperimentazione diretta sull'uomo, che troppo spesso sfrutta i paesi in via di sviluppo, dove in cambio di denaro è molto facile trovare volontari per le sperimentazioni.
- le case farmaceutiche sono aziende che cercano il profitto, e quindi devono stare attente alle possibilità di mercato che ogni nuovo farmaco ha, anche perché per la creazione di un nuovo medicinale i costi sono ingenti, nell'ordine del milione di euro. Si crea così il problema dei farmaci orfani, cioè cure per malattie rare, che avendo mercato minimo non potranno mai ripagare l'investimento. In queste situazioni interviene la politica: a livello europeo ad esempio si finanzia la ricerca per cure delle malattie rare, in modo da ovviare al problema. Oppure può essere che il mercato sia vastissimo ma incapace di pagare: è l'esempio dei farmaci per l'AIDS, che pochissimi tra i contagiati potrebbero permettersi di pagare. La soluzione di questo problema è difficoltosa, ma una possibile soluzione in atto è che nei paesi poveri questi farmaci possano essere prodotti senza dover pagare le royalties dei diritti d'autore alla casa produttrice, in modo da tagliare di molto i costi.

Francesco Grossi

Nessun commento:

Posta un commento