giovedì 2 ottobre 2008

Lettere da Milano: La "cecità" di alcune istituzioni

"Lettere da Milano"

La "cecità" di alcune istituzioni

Qualcuno direbbe: "dove eravamo rimasti?". Evito la nostalgia per arrivare subito al nocciolo; come vi ho già detto in passato, questa non è una rubrica di molte parole, e come tale vuole riportarvi delle storie, chi vi scrive si nutre di storie, di quelle storie che magari sono troppo poco interessanti per essere scritte in altri luoghi o piuttosto danno un po' di fastidio ad essere scritte in quei luoghi. Una dell penne più libere dei nostri giorni, Anna Politkovskaja, uccisa nell' ottobre 2006, ha detto:"io vivo la mia vita e scrivo di ciò che vedo".
La storia di oggi, purtroppo, è vera, parla di una ragazza, che con tutto l' entusiasmo e la mitezza dei suoi diciannove anni si è iscritta alla facoltà di lingue e letterature straniere all' Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il primo problema che si presenta alla nostra amica è la lontananza con Milano, siccome abita a più di quaranta chilometri di distanza; questo primo problema è risolto dalla nostra amica decidendo di rivolgersi ad un collegio universitario, che oltre ad offrire alloggio può annoverarsi tra le esperienze positive ed educative di una persona. La nostra amica è non vedente e per muoversi ha bisogno dell' aiuto di un cane guida; questo, soprattutto nel 2008, non è e non deve diventare un problema. Lungi da me il fare moralismi patetici, ma penso proprio che in una società che si vanta di essere civile, democratica e all' avanguardia, questo non debba essere un problema, semmai una difficoltà, ma un problema proprio no.
Dopo essersi rivolta a un primo collegio universitario dal quale è stato dato un no categorico , un pochino afflitta ha cercato di mettersi in contatto con un' altro collegio, questa volta di "gestione e ispirazione cattolica".
Qui inizia il secondo problema; l' istituzione universitaria dopo aver tergiversato sulla possibilità di ospitare la ragazza e il cane (ovviamente è stato richiesto un sovrapprezzo consistente, che però la nostra amica si è detta disponibile a pagare volentieri) ha prima inviato una e mail per la propria indisponibilità, la nostra amica a questo punto ha chiesto un colloquio con la direttrice, il colloquio c' è stato, ma oltre che ad essersi presentata con tre ore di ritardo, alle perplessità della ragazza la direttrice ha risposto stizzita dicendo che non aveva mai avuto questo tipo di "problemi" e ha fatto capire che l' ammissione alla struttura dopo quello scambio di opinioni non sarebbe stata libera e naturale, ma forzata (immaginiamo come può essere la vita in una struttura che ti accetta per forza, quasi peggio che un matrimonio combinato).
Credo che tutti comprendano le difficoltà che può avere una struttura per soddisfare un certo tipo di bisogni, non si sostiene qui il contrario, e credo che tutti avremmo delle difficoltà nel farlo, però la disattenzione e la poca educazione con la quale è stato trattato questo caso fanno riflettere.
P.s.: Ovviamente i collegi universitari non sono tutti così, non voglio generalizzare, ma capite bene che in questa sede non posso nominare il diretto interessato; se qualcuno si sente preso in causa mi faccia sapere.

Andrea Ripamonti

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