giovedì 9 ottobre 2008

Lettere da Milano: Senza un tetto sopra la testa

"Lettere da Milano"
Senza un tetto sopra la testa


La "casa", la "città e l' "abitare" sono le realtà sulle quali si è discusso venerdì 3 ottobre e sulle quali si continuerà a discutere per tutta la serie di incontri proposti dal nostro gruppo F.UC.I.

Realtà tanto semplici quanto complesse se si tiene conto delle innumerevoli problematiche e argomentazioni che le investono.

Nella settimana, che ormai volge al termine, precisamente il 7 ottobre, si è celebrato l' anniversario dell' assassinio di Anna Politkovskaja, della quale vi ho già parlato e della quale avrete sicuramente letto dei brani. Ebbene proprio sulla "casa" e sul problema degli alloggi nella Russia dei giorni nostri la Politkovskaja ha redatto spettacolosi quanto cruenti reportage. Questa settimana voglio giusto proporvi un brano tratto da una raccolta di articoli che Anna Politkovskaja pubblicò sulla "Novaja Gazeta", libero quotidiano moscovita, prima di essere uccisa.

"Sedute in fila lungo la parete di un edificio statale, queste anziane signore hanno lasciato Groznyj in anni diversi e a causa di guerre diverse. Impermeabili anni Ottanta, scarpe sovietiche. Tutto già indossato e scartato da qualcun altro. Sui loro visi è impressa l' immagine dell' autentico vicolo cieco in cui si trovano. C' è una atmosfera disperata da reparto suicidi. Siamo a una riunione di Casa nostra, un circolo sociale di cinquantatrè famiglie cui un giorno si sono uniti profughi "di fede e lingua russa" provenienti dalla Cecenia. Tutti in età pensionabile. L' hanno fatto per riuscire a ottenere dallo Stato i diritti che spettano loro: lo status di profugo, la registrazione, l' alloggio, la pensione. Ora, dietro la finestra, c' è l' ottobre moscovita. Siamo nel 2004, e per molti sono passati già dieci anni dalla fuga e dall' inizio di questa battaglia...con che risultato?

...Taisija Iosifovna Tolstova ha ottantun anni. Ci sente, ci vede, cammina. Ed è molto attiva. Questa donna, che ha una ferita riportata nella Grande guerra patriottica e cinquantotto anni di anzianità lavorativa (trentaquattro dei quali passati a insegnare e trenta a Noril'sk) è tornata dal Grande Nord in patria, nella capitale cecena: è una russa di Groznyj da quattro generazioni. Ora, giunta alla sua nona decade, pulisce tre volte alla settimana tutti i sedici piani di un palazzo nel centro di Mosca. Tutti i pianerottoli e tutti i pavimenti davanti agli ascensori. Altre possibilità non ne ha.

Il compenso che riceve è il massimo a cui possa aspirare: Taisija Iosifovna è una senzatetto e lavorare là le permette di alloggiare nel gabbiotto della portineria del palazzo. Le custodi, di notte, se ne vanno a casa e al loro posto rimane lei, che però non riceve parte dello stipendio per il turno di ventiquattro ore: quello, naturalmente, continuano a prenderlo loro. Il gabbiotto è stretto, ci sta soltanto un divanetto, ma ci si può dormire. La donna, però, deve darsi il cambio col figlio Volodja, gravemente invalido per una malattia nervosa.

Taisija Iosifovna adora gli abitanti di questo palazzo: è merito loro, infatti, se lei non è finita ancora in uno scantinato lercio. Secondo le norme del nostro sorprendente paese, Taisija Iosifovna ha perso il diritto a un lavoro legale: non ha uno status, non ha una registrazione, non ha un lavoro, niente di niente. In dieci anni, vale a dire da quando è fuggita da Groznyj dopo aver perso tutto ciò che aveva messo da parte, non ha ricevuto dallo Stato nulla che potesse in qualche modo compensare la sua perdita, nulla per ricostruirsi una vita o per dare al figlio Volodja qualche prospettiva.

Taisija Iosifovna ha anche una figlia, pure lei pensionata, che vive a Noril'sk. Ma partire da Groznyj per andare da lei non aveva senso: là per le persone anziane non c' è lavoro. A parte la figlia, l' anziana donna ha anche due cognati, fratelli del suo defunto marito, morto molto tempo fa. Vivono uno a Mosca, l' altro nei suoi dintorni. Dieci anni fa, su loro invito, ha lasciato Groznyj per raggiungerli. Uno dei due ha cercato di fare tutto il possibile per la vedova di suo fratello. Dopo la fuga dalla Cecenia Taisija Iosifovna è rimasta a lungo registrata presso il domicilio del cognato. Ma nemmeno lui era più tanto giovane. E alla fine i suoi parenti si sono chiesti: ma perchè dobbiamo fare proprio tutto noi? Della nonnina non si dovrebbe prendere cura lo Stato? Certo, dovrebbe. Ma intanto la vecchietta pulisce sedici piani, tre volte la settimana. E tiene tutte le sue cose in uno sgabuzzino per le scope.

"Dovunque andiamo tutti ci domandano: "Perchè siete venuti a Mosca?". E dove dovevamo andare? I nostri parenti erano qui..."
"E dove mangia? Qui non c' è nè un fornello nè acqua..."
"Preparo da mangiare nell' androne e mi prendo cura anche di quelli che vi si fermano a dormire. E' grande, c' è sempre qualcuno che trova riparo lì."
"Dove si lava?"
"Sempre lì."
"E il bagno?"
"Chiedo a qualcuno."

Guardatevi dentro: quanto tempo resistereste in queste condizioni?

"Chissà se morirò sotto un tetto mio?" si domanda Taisija Iosifovna, ma poi si rivolge alle persone che le passano accanto, gli inquilini della casa dove l' hanno lasciata vivere e chiede:"Dite un po', c'è qui una giornalista, qualcuno di voi mi considera forse una persona cattiva? Sembro disonesta? Una che pianta grane?"

La maggior parte degli inquilini non capisce il senso di quelle domande: per loro è ovvio, a ottentun anni non serve dimostrare che non si è il peggior membro della comunità. A ottantun anni bisogna riposarsi della vita vissuta, a spese della comunità. E basta.

Alla riunione dell' associazione Casa nostra, Vanda Petrovna Vojcechovskaja è rimasta seduta per alcune ore senza muoversi. Tutti parlavano, lei restava in silenzio. Aveva un portamento altero. Begli occhi e uno sguardo duro. Un tipo intransigente.

Ma a poco a poco si è innervosita, poi demoralizzata.

"Sono senza casa. Una reietta, una mendicante. Per me non ci sono nè sogni nè vita. Neppure un po' di riposo" dice con grande sforzo: ha la pressione alta. "Prima avevo tutto...una casa, una dacia, un garage, una macchina. A Groznyj. Ci vivevo dal 1950, ero stata assegnata lì dopo aver terminato l' Istituto di ingegneria edile di Kiev. Ho lavorato trentotto anni nello stesso posto come ingegnere progettista. Mio marito era un invalido della Grande guerra patriottica. Mia figlia si è sposata con un bravissimo ragazzo, qui a Mosca, nel 1992. Lui aveva una stanza nella residenza azlk. Ora viviamo tutti lì. Mio marito è morto nel '96. Quando la situazione a Groznyj si è fatta particolarmente difficile, i miei vicini mi hanno caricata su un treno e mi hanno spedito da mia figlia. Pensavo:"Sarà una cosa temporanea, presto succederà qualcosa".

Vanda Petrovna dorme su un piccolo divano con il nipote di dodici anni. Sul divano accanto ci dorme invece il nipote più piccolo. In quella minuscola stanzetta c' è spazio solo per dormire. Non ci si può sedere da nessuna parte. Per una persona anziana e malata come lei questo è insopportabile. Così, ormai allo stremo delle forze, Vanda Petrovna si è convinta di essere per la figlia e la sua famiglia nint' altro che un fastidio.

"Sono molto malata, di sicuro rimarrò presto paralizzata. Finchè mi reggevo sulle mie gambe, per non essere di peso a nessuno, raccoglievo bottiglie...ma avevo comunque bisogno delle medicine...Perchè lo Stato ci ha scaricati sulle spalle dei nostri figli? Non riesco a capirlo...Perchè non posso avere un buco dove stare? Non sono mica stata io a distruggere tutto quello che avevo a Groznyj".

Valentina Petrovna Kuznecova è grcile e bella. Non si toglie il fazzoletto dalla testa, non si sfila l' impermeabile, tiene costantemente le mani giunte, le labbra serrate, come sotto chiave. Si trattiene per non scoppiare in lacrime. Un fortissimo rossore le infiamma le guance. Ha i brividi e stringe le braccia al petto per tutto il tempo, anche se gli altri sudano per l' afa. La malnutrizione cronica è la sua compagna di strada. E' un male che colpisce tutti, senza distinzioni. E Valentina Petrovna, ex ingegnere di Groznyj, in passato sapeva come distinguersi. Adesso ha settantotto anni. Nel gennaio del 1995 gli uomini del ministero della Protezione civile hanno tirato fuori lei e la sorella maggiore Aleksandra dagli scantinati di Groznyj, ormai più morte che vive, per poi mandarle a Mosca, dove risiedevano alcuni loro parenti. Cosa più che legittima. Da allora sono passati quasi dieci anni. In tutto questo tempo Valentina Petrovna ha vissuto con la sorella di ottant' anni malata a Mosca, in un locale di servizio della scuola n. 1142...

"Certo, qui le condizioni sono da incubo" dice il direttore Iosif Stanislavovic Protas. All' inizio Valentina Petrovna lavorava come custode della scuola, ma poi dall' alto ci è arrivato l' ordine di assumere solo persone provenienti da imprese private...Cosa avremmo dovuto fare, sbatterle per strada? Non ne ho avuto il fegato...Ora un nipote ha preso con sè le due vecchiette: lui se ne va da qualche parte, l' appartamento rimarra libero per un po' di tempo. Così se ne sono andate dalla nostra scuola. Ma il problema dell' alloggio ancora non si è risolto. Non si ottiene mai niente. Non capisco come possa succedere."...Succede per una ragione molto semplice. Dal punto di vista giuridico il problema degli anziani russi profughi dalla Cecenia sta in questi termini: per legge sono sfollati interni, uno status che da noi vale soltanto per cinque anni, ma che consente di girare liberamente per Mosca e farsi curare gratuitamente. Una parte delle vecchiette lo ha ottenuto per qualche tempo lottando contro il Servizio migrazioni, che in questi dieci anni si è riorganizzato alcune volte. Ma un' altra parte non ne ha beneficiato: i funzionari di quell' ufficio si ostinano a non concederlo nonostante si parli di colpevoli senza colpa.

Ed ecco che, passati i cinque anni, le persone con lo status di "sfollati interni" si ritrovano allo stesso livello di quelle che vivevano nell' assoluta illegalità, il tutto con il benestare del Servizio migrazioni. Il problema è che cinque anni sono, per legge, il periodo entro il quale lo Stato dovrebbe adempiere ai propri obblighi nei confronti dei cittadini rimasti privi di tutto proprio per sua responsabilità. In questi cinque anni lo Stato, dunque, ha il dovere di riorganizzare i suoi "sfollati interni" fornendo loro una casa, un sussidio, un' assicurazione. Deve far sì che i cittadini danneggiati otengano, in cambio di ciò che hanno irrimediabilmente perduto, una base dalla quale ricominciare a vivere.

Il nostro Stato, invece, ha ingannato i suoi "sfollati interni" arrivati dalla Cecenia. Il Servizio migrazioni, infatti, ha lasciato passare cinque anni senza dar loro niente, e ora declina ogni responsabilità: ai profughi, in fondo, è stato concesso tutto il tempo necessario perchè trovassero da soli il modo di rifarsi una vita...

Chi lo mette in discussione? La regola dei cinque anni è accettabile per i giovani e per le persone di mezza età che possono lavorare e farcela da soli. Ma come si fa a settanta o ottant' anni? Come fanno gli invalidi? Loro come possono organizzarsi autonomamente?...

Ma perchè mettere l' accento proprio sui profughi russi di Groznyj? E non invece su tutti quelli che hanno dovuto abbandonare per forza le zone delle infinite "operazioni antiterrorismo" che hanno luogo sul territorio di qualunque città?

Perchè le famiglie cecene, per quanto vivano male, di norma ricevono sempre un sostegno dai propri cari. Così diventa impossibile trovare una vecchietta cecena di ottantun anni che lava i sedici piani di un palazzo. Mentre di vecchiette russe così, ce ne sono molte...

Che fare? Come uscire oggi da questa situazione nel modo più rapido ed efficace? Queste donne non possono più aspettare...

L' associazione Casa nostra è formata da cinquantatrè famiglie tra le più indigenti e senza una casa. Aspettano invano qualche briciola del bilancio: i funzionari si impiccherebbero piuttosto che accordargliela. Per questo ora rivolgono le loro speranze al mondo del business "socialmente utile", come è stato definito, con un certo pathos, dal signor Potanin in televisione non molto tempo fa. Ad esempio, Ella Pamfilova, capo della Commissione per i diriti umani (di cui fanno parte importanti personaggi della comunità cittadina come Svetlana Gannuskina, presidente di Assistenza cittadina, una fra le associazioni per la difesa dei profughi più attive nel paese e Ljudmila Alekseeva, capo del gruppo mscovita di Helsinki), potrebbe sottoporre a Putin una proposta che lui, in quanto responsabile di ciò che avviene in Cecenia e dei fatti che ne conseguono, sarebbe obbligato ad approvare: trovare a Mosca cinquantatrè società finanziarie disposte ad acquistare ognuna un appartamento. Un solo alloggio per ciascuna società. Non Farebbero certo fatica.

...Ora la riunione di Casa nostra è finita. "Lo Stato aspetta solo che crepiamo. Così non spenderà un soldo per noi. Ne sono sicura" dice al momento dei saluti Zoja Michajlovna Markarjanc, profuga di questa guerra. A Groznyj faceva l' insegnante, ma poi una bomba le ha centrato in pieno la casa. Insieme a quella, le hanno portato via anche la vita."



Andrea Ripamonti

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