venerdì 20 marzo 2009

Lettere da Milano: Provano già a farci entrare nella storia

“Lettere da Milano”


Provano già a farci entrare nella storia…



Chi vi scrive è nato negli anni Ottanta, chi legge probabilmente anche come probabilmente tutti gli odierni aderenti alla Fuci. A parte l’assistente, di cui non è dato sapere le primavere.

Generazione anni Ottanta dunque, le donne e gli uomini del futuro, anche se è lecito domandarsi che tipo di futuro. Donne e uomini del futuro che forse hanno anche tanta paura del presente.

L’ottimo Beppe Severgnini ha già provato a definirci, io vi riporto l’articolo tratto dal Corriere della Sera.

Andrea Ripamonti

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Per gli italiani nati negli anni ’80 dobbiamo trovare un nome e un calmante. Il secondo è forse più urgente. Diventare adulti di questi tempi, tra musi lunghi e vecchi squali, non è facile. Ne trovo dovunque. Pensavo che l’Europa orientale fosse fuori dalle loro rotte – Belgrado è fascinosa però non è Berlino, Sofia è una sorpresa ma San Francisco è meglio – e invece eccoli lì. I toscani Federico e Laura, la friulana Greta e l’abruzzese Antonio, il calabrese Danilo, i lombardi e i veneti, i sardi che non mancano mai: pronti ad annegare le malinconie italiane nell’esotismo balcanico, e non è facile. Ne ho incontrati in ogni angolo del mondo, di ragazzi così, e in tante città italiane. Il rivolo di trasferimenti da sud a nord – alimentato da economie spompate e pratiche vergognose – è diventato un torrente.

E’ una generazione Samsonite che vive con la valigia in mano, o con un viaggio in mente. I titoli dei telegiornali li ottengono i coetanei che fanno casino davanti all’università, e la sera rientrano a casa da mamma e papà. Gli ultimi posti di lavoro se li sono presi i trentenni della generazione Ikea, nati negli anni ’70. Poi il Big Crash. I ventenni – infanzia felice anni ’80, adolescenza serena anni ’90 – non se l’ aspettavano, questo scherzo.

Lo so, lo so: le generazioni sono semplificazioni, e ogni persona ha una storia diversa. Ma un comun denominatore esiste, e gli Ottantini – ecco, li chiamerò così – sono una generazione in corridoio, che si ritrova tante porte chiuse. Precluse le professioni liberali: migliaia di neo-avvocati si strappano di bocca piccole cause. Blindati i media: pubblicità e diffusione in calo, si esce ma non si entra. Sprangate banche e finanza (troppo tardi: i prestigiatori coi capelli grigi sono già scappati). Serrate industria e commercio: clienti e ordini calano. Sbarrata la politica: ormai si accede per il favore dei capi. Chiusa perfino la possibilità di metter su famiglia. Bisogna rimandare la prima Festa del Papà, consiglia la futura mamma, che ha la testa sulle spalle.

Il catalogo è questo. Un Ottantino può scegliere: scoraggiarsi o reagire. Suggerisco la seconda soluzione, e spiego perché. Partiamo di qui: preoccuparsi è ragionevole. Come ha scritto Davide S. a Italians, ricordando l’invettiva di un vecchio professore: ”Certe generazioni saltano, la storia ne è piena!”. Ma saltano per sfiducia, per arroganza o per mollezza: non per il mondo che trovano intorno. In American the Greatest Generation (Tom Brokaw) coincide con la nostra. Nata dopo la Prima Guerra Mondiale, s’è beccata dittature, depressione, Guerra e ricostruzione. Non ha mollato mai. E voi ragazzi? La “tempesta perfetta” della recessione vi ha accolto fuori dal porto (niente potrà più spaventarvi direbbe il vecchio Conrad). Avete tra i piedi un po’ di sessantenni rassegnati, di cinquantenni opportunisti, di quarantenni pavidi e di trentenni poveri (c’è di peggio). Forza e coraggio: è l’atteggiamento che cambia l’umore, la vita e la storia. Se scegliete d’essere sconfitti prima d’aver perso, diventerete la “generation amargada”. Suona bene, ma fa male.

Beppe Severgnini

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