giovedì 9 febbraio 2012

3 novembre 2011, Assemblea Regionale F.U.C.I. a Lodi - Nel nome di Gesù

In entrambe le Annunciazioni, sia in quella ricevuta da Maria che in quella di Giuseppe, l'Angelo si sofferma su un particolare, quello che può apparire per un dettaglio quasi insignificante rispetto alla portata dell'annuncio, o quantomeno non così rilevante: il nome del nascituro.

Una volta nato, Maria e Giuseppe dovranno dargli il nome di Gesù.

Solitamente, nell'accezione comune, il nome può (o meglio: ci auguriamo possa) condizionare il futuro del bambino: spesso viene assegnato il nome del proprio genitore, il nome di un amico caro, altre volte il nome ha una gradevole sonorità e si spera possa portar gioia nella propria casa solamente pronunciandolo.

Il nome Gesù, traduzione dall'Aramaico più simile a Joshua, di per sé significa Jhwh salva: Dio salva; era un nome comune all'epoca e nelle scritture sono riportati nomi di altri personaggi che portarono, in precedenza, questo nome. Il fatto di imporre di chiamarlo con questo nome, vuole anche rimandare ai suoi predecessori: Giosuè, Isaia, Giosia ed il Profeta Osea.

Giosuè è il successore di Mosè, è colui il quale deve conquistare la Terra Promessa una volta averla raggiunta. Dio fa a Giosuè il dono di potersi conquistare la terra dove abiterà: gli fa un regalo in modo tale che, ricevendolo, Giosuè possa diventare vero protagonista della propria storia, ovvero non fa altro che dargli la possibilità di conquistare sé stesso e di guadagnarsi la propria vita!

Dio dice a Giosuè di non aver paura, di non farsi vincere. Come il suo predecessore, anche Gesù è stato messo alla prova, ma non si è lasciato vincere; proprio per questo motivo Gesù è il nostro salvatore, perché ci salva, ma soprattutto ci capisce perché le situazioni dubbiose, le situazioni difficili, le situazioni di tentazione le ha provate egli stesso.

Isaia è un uomo mandato a consolare. Allo stesso modo Gesù è inviato a noi per consolarci, perché dalle paure che ci imprigionano noi possiamo essere liberati solo da qualcuno in grado di consolarci, da qualcuno che sia in grado di incoraggiarci, da qualcuno che creda in noi e che ci stimi. È in questi termini che nel nome di Gesù vibra e risuona il ricordo di Isaia.

Isaia venne ucciso, perché nessuno era disposto a farsi consolare: una volta che si è stati consolati, il passo successivo è essere portati a fare il bene, se, invece, non si è stati consolati ci si sente addirittura legittimati a fare il male e ogni essere umano, fondamentalmente, vuole essere lasciato in pace, non vuole sentirsi impegnato.

Giosia fu un grande re: egli rimase sempre fedele al suo Dio, anche quando questo costava parecchia fatica (al contrario, ad esempio, di Salomone che fu indubitabilmente un grande re, ma non fu un re fedele al proprio Dio, anzi si fece attrarre e sposò religioni e credenze diverse). Nella fatica di mantenere la fedeltà risiede in Gesù lo specchio del re.

Nella nostra quotidianità, un'azione realistica è cominciare ad essere fedeli in primis ai nostri doveri, alle relazioni che abbiamo stretto e alle singole situazioni e solo dopo si potrà pensare all'essere fedeli a Dio! Non per negligenza o per deviazione di valori, ma per concretezza: rimanere fedeli a Dio è decisamente più difficile che non l'esserlo nelle altre circostanze. Iniziamo con un passo alla volta.

Osea parla di Dio come se questi fosse uno sposo alla ricerca della sposa: è Dio che si muove per primo, è Dio che fa il primo passo; Dio dice "convertitevi e poi ritornerò", solo in seguito alle conversioni sarebbe dovuto tornare, mentre in realtà sappiamo bene che è ritornato prima lui, tramite Gesù.

Credere in Gesù vuol dire essere persone in grado di fare il primo passo e non persone statiche, che aspettano perennemente un'azione dall'esterno prima di agire.

L'iniziale di Gesù, Joshua, è la lettera yod che è l'unica consonante la quale nello scriverla "non tocca terra".

Originariamente, yod era un geroglifico con il significato di mano: una mano tesa a consolare, una mano che si muove per prima per ricucire un rapporto che si è spezzato, una mano attaccata alle cose del mondo; Adamo è stato fatto da Dio, costruito, plasmato con le mani di Dio e allo stesso modo tutti noi siamo "fatti a mano", artigianalmente, siamo ognuno unico nel suo genere, non siamo fatti in serie.

Dobbiamo tutti ricordarci che seguire Gesù significa rendersi conto di essere fatti a mano, ognuno in maniera distinta.


Mauro Maraschi

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