giovedì 9 febbraio 2012

4° TEOLOGICO: “Biografie e teologia” - San Benedetto da Norcia

Appunti dell'incontro teologico del 20/01/2012 con don Cesare Pagazzi

È una coppia di santi vissuta nel V-VI secolo d.C., dove il maschio ha avuto un ruolo e un riconoscimento storico prevalente. Benedetto è, tra l’altro, patrono d’Europa insieme a Santa Caterina; la storia della sua vita è stata scritta da Gregorio Magno.

A Benedetto e ai suoi seguaci, i benedettini, è attribuita l’immensa opera della custodia della cultura cristiana e pagana. Oltre a questo, ai benedettini è riconosciuta anche la grande opera di organizzazione e coltivazione del territorio: le stesse campagne della bassa lodigiana sono state organizzate dalla famiglia benedettina dei cistercensi intorno al X secolo d.C. (portarono anche il vino a San Colombano).
A loro va attribuita la nascita di alcune delle prime scuole in ambienti monastici, che poi divennero università di studi.
Insomma, dobbiamo a loro molto della nostra cultura europea.

Benedetto e Scolastica, gemelli, nacquero nel 480 d.C a Norcia, e si spensero nel 547 d.C. nel monastero di Montecassino. Furono cresciuti da una famiglia romana patrizia, e a 12 anni si trasferirono a Roma per seguire studi elevati. Tuttavia Benedetto era disgustato dalla decadenza della città, e scappò con la sorella nella Valle dell’Agnese, dove Scolastica scomparve e lui visse solo come eremita per 3 anni. Una volta diciassettenne, incontrò un monaco che lo presentò poi ad un altro, che gli insegnò a vivere in solitudine. Solo dopo qualche anno Benedetto accettò con sé altri monaci, di cui divenne l’”abbate” (in ebraico significa “padre”).

A quel punto riapparve scolastica, che fondò il ramo femminile del convento, le “benedettine”.
E’ interessante il fatto che Benedetto, in questo periodo, fu avvelenato per ben due volte dai suoi monaci; questo mostra come sia esistente una grande difficoltà fraterna: nel rapporto di fratellanza, sono caratteristiche intrinseche la rivalità, l’invidia e tutta una serie di sentimenti con i quali non è semplice convivere (questo anche nella fratellanza cristiana).

Successivamente, si trasferiscono a Montecassino e fondano un nuovo monastero, dove Benedetto istruisce i monaci benedettini con una regola (“La Regola”). Egli diviene anche un punto di riferimento per uomini importanti, come ad esempio Totila (re ostrogoto): a ciò di deve molto della conversione dei barbari.

LA REGOLA BENEDETTINA


Ausculta filii praecepta magistri.
Così è come inizia la Regola di Benedetto: “ Ascolta, figlio, gli insegnamenti del maestro “. All’inizio della nostra cultura, c’è un racconto che viene narrato e ascoltato. E alcuni esempi importantissimi di questi racconti sono la Bibbia e, appunto, la Regola di Benedetto. Questa introduzione è una chiara richiesta di attenzione di ascolto, di ascolto ad un maestro, ad una persona quindi più esperta; l’interlocutore è però chiamato figlio:non è dunque un apprendimento intellettuale, ma rientra in una relazione affettiva e di fiducia reciproca.
La Regola benedettina può essere riassunta in tre punti principali.

  1. Stabilitas loci

Indica in primo luogo una stabilità di luogo: stare sempre, per tutta la vita, nello stesso monastero, non girovagare, stare dove si abita. E’ prima di tutto una stabilità spaziale, ma anche una stabilità affettiva! Infatti, troppo spesso si è instabili, si girovaga, si sta in un luogo, si prende una posizione, si sta dalla parte di qualcosa o di qualcuno, soltanto fino a che questa situazione rende, finché porta vantaggi. Troppo spesso, una volta che non ci sono più questi vantaggi, si cambia sponda.
Benedetto è stato per tutta la vita nello posto, e chiede di fare lo stesso. La sua regola significa rimanere stabili nelle relazioni con i fratelli, e non è una cosa semplice: stare sempre con le stesse persone è difficile, a maggior ragione se sono compagni che non ci si è scelti. Significa dimostrare stabilità nei punti di riferimento, mantenerli se gratificano e danno ragione, ma anche se danno torto.
Troppo spesso accade che ci si fida di idee, persone o valori, sono finché fa comodo.

  1. Monico ”, unico e solo

Il termine “ monico ”, da cui deriva la parola “monaco”, significa “unico” e “solo”.
Benedetto ha fondato una famiglia di uomini soli (per quel che riguarda Scolastica, una famiglia di donne sole). Ma la solitudine è sostanzialmente diversa dall’isolamento. Si isola colui che non ha bisogno di nessuno, che basta a sé stesso e non avverte la necessità di stare insieme agli altri. Solitudine, invece, significa riconoscere di avere bisogno degli altri, ma con la consapevolezza della propria diversità e unicità. Questa consapevolezza permette di accettare l’impossibilità di essere pienamente capiti, pienamente compresi dagli altri, perché ciascuno di noi è prezioso, è unico, e l’universale non è sufficiente per comprendere in tutto e per tutto l’unicità di ogni singolo caso.
Il monaco è chiamato a comprendere la sua unicità, a rispettarla, accettarla e sopportarla; anche a sopportare di sentirsi incompreso.
Può sembrare una contraddizione, ma la cosa interessante è che cresce il livello di solitudine proprio dove si potrebbe pensare che non ci sia spazio per lei. Ne è un chiaro esempio il rapporto tra uomo e donna: essi sono una cosa sola carnalmente, come destino di vita e come conoscenza; ma se funziona veramente bene, fa crescere l’esperienza della solitudine (intesa come consapevolezza di unicità, e sopportazione del non essere mai pienamente compresi da nessuno, nemmeno dal proprio partner). Se un rapporto non fa vivere questa esperienza, allora è probabilmente un plagio.
Solitudine è accettare di non poter essere mai conosciuti del tutto, e di non poter mai conoscere pienamente gli altri. Non bisogna aver paura di questa solitudine, poiché è normale essere incompresi, poiché tutti noi siamo unici, siamo rari, siamo preziosi.
Una buona relazione cancella l’isolamento, ma non la solitudine, che anzi viene accresciuta! Infatti, se si vuole bene a una persona, la si rende capace di comprendere la sua unicità.

Per essere in grado di vivere bene da soli, bisogna saper vivere con gli altri.
Per saper vivere bene con gli altri, bisogna prima imparare a vivere da soli.
Chi non è capace di vivere da solo, utilizza gli altri, fa uso di loro per scappare dalla sensazione della solitudine.
Non è facile saper vivere la solitudine. Per imparare, serve fare un po’ di deserto, trovando un momento, perché no, anche tutti i giorni. Siamo capaci di stare un po’ con noi stessi? Sappiamo leggere i nostri sentimenti? Capire la nostra unicità? Se non siamo capaci noi di capire i nostri veri sentimenti, spesso ci vanno di mezzo e soffrono altre persone, oltre a noi stessi.
Benedetto è stato per lungo tempo da solo, e proprio per questo ha saputo stare con gli altri. Ha saputo mettere radici nei propri sentimenti. Ha saputo, per tornare anche al discorso di prima, trovare la sua stabilitas, grazie allesperienza della solitudine.

  1. Ora et labora

Tra le massime fondamentale della Regola benedettina è quella più conosciuta. “Prega e lavora”. Due verbi che possono sembrare in contraddizione, ma che invece vanno tenuti insieme. Mentre si compie un’azione, di qualunque tipo essa sia, si è attivi, si è protagonisti; mentre si prega si è invece passivi. Il lavoro dà un tornaconto immediato (o quasi) e visibile. La preghiera no.
Benedetto dice che è importante sentirsi protagonisti, agire e ottenere delle conferme: per stare bene bisogna fare cose che danno risultati, bisogna vedere e poter godere del frutto del proprio lavoro (da notare la saggezza di quest’uomo: un uomo di chiesa, di preghiera , molto spirituale come lui, che afferma l’importanza di avere un tornaconto immediato, di ottenere un guadagno e un risultato visibile).
Ma bisogna anche pregare. Bisogna imparare a essere passivi e aperdere tempo. Bisogna riuscire a vivere il proprio protagonismo e agonismo, ma senza rinunciare a chiedere, a ricevere, ad aspettare un risultato che forse non arriverà mai. Bisogna conciliare queste due cose nella nostra vita di tutti i giorni. Nello studio noi siamo protagonisti? Ci impegniamo per ottenere dei buoni risultati, senza perdere tempo?Ma allo stesso tempo: preghiamo noi? (o quantomeno, ci diamo del tempo per riflettere su noi stessi, per stare un po’ soli con noi stessi? ) Ognuno prega a modo suo, c’è chi prega 2 ore al giorno e chi 30 minuti alla settimana, vanno comunque tutti bene; ma mai dire che non si ha tempo per pregare! La verità, è che manca il coraggio di vivere un’azione senza immediato tornaconto.La preghiera è esercizio per imparare a saperperdere tempo, per saper non sentirsi subito contraccambiati. È un grande, grande addestramento per lamore: in amore bisogna sapersi impegnare, saper dare e saperci credere, anche se non si vedono subito dei risultati tangibili. Il “vero amore” è come la “vera preghiera”.


La Regola di Benedetto è saggia e delicata. Ad esempio, prevedeva che in quaresima non si bevesse vino; ma se vi era un malato che aveva bisogno di tirarsi un po’ su, a lui era permesso di berlo. Era una regola moderata, al punto che la moderazione può essere considerata come un ulteriore punto saliente; è come se dicesse:
LAVORA, moderatamente: la preghiera sarà la moderazione del tuo lavoro.
PREGA, moderatamente: il lavoro sarà la moderazione della tua preghiera.

STAI IN SOLITUDINE, moderatamente: la compagnia degli altri sarà la moderazione della tua solitudine.
STAI CON GLI ALTRI, moderatamente: la solitudine sarà la moderazione del tuo stare in compagnia.

Era una regola saggia, moderata, bella, ma dura: era molto esigente. Infatti la prima cosa che dice è “ascolta” !

Questa regola non era utilizzata solo nei conventi benedettini, ma anche in quelli delle benedettine. Infatti Scolastica e le sue monache vivevano la stessa vita in un convento vicino a quello del fratello. I monaci benedettini lavoravano sodo, e anche le benedettine non erano da meno!

Tuttavia Scolastica per la storia è sempre rimasta in disparte rispetto al fratello più famoso, è sempre rimasta nel suo cono d’ombra. I due si incontravano una sola volta all’anno, per l’intera giornata, in una casetta situata a metà strada tra i due monasteri. Potrebbe sembrare poco. Ma limportanza e la bellezza di un incontro non dipende dalla quantità, ma dalla qualità. Chissà quel loro incontro quanto era denso, pieno di emozioni e di attenzione. E a loro bastava quello.


NeiDialoghidi Gregorio Magno, è narrato uno di questi loro incontri: è interessante poiché in esso la sorella, sempre messa in ombra, mostra la sua personalità e si dimostra, in tale frangente, non certo da meno del fratello.
La storia racconta che essi hanno passato l’intera giornata a lodare Dio e a conversare amabilmente, fino a quando si fece sera. Visto che l’ora era tarda, Scolastica pregò il fratello di restare a parlare fino al mattino successivo, ma lui, scandalizzato all’idea di venire meno alla regola decisa, rifiutò categoricamente di pernottare fuori dal monastero. Allora lei si mise subito a pregare il Signore, e all’improvviso scoppiò un uragano che rese impossibile uscire dalla casetta. Benedetto , rammaricato, si lamentò della preghiera della sorella, ma lei rispose semplicemente che prima aveva pregato suo fratello, ma non era servito a niente; aveva allora pregato Dio, e Lui l’aveva esaudita. Alla fine, vegliarono insieme tutta la notte.
Lei ha avuto più potere poiché Dio è Amore, e “ poté di più chi più amò ”.
La storia racconta che, tre giorni dopo, Benedetto vide l’anima della sorella salire in cielo e che gioì per lei; dopo 40 giorni morì anche lui, e furono seppelliti insieme nel monastero.

La storia aveva sempre dipinto Benedetto come l’Everest e Scolastica come la sua ombra. Ma in questa occasione i rapporti si sono capovolti: lamore è più potente della Regola.
Questo ricorda quello che scrisse S. Agostino: “Ama e fai quello che vuoi”. Se una persona ama, allora per quell’amore può permettersi di infrangere le regole.
Ma amare non significa solo rose e fiori. Se dall’amore ci si aspetta solo la felicità, alla prima occasione in cui non si è gratificati si cercherà l’amore altrove e si finirà per fare del male a qualcuno. L’amore non è solo una tempesta ormonale, ma va molto oltre. Amare è essere disposti sia a stare soli, sia a stare insieme.
Per amore si possono infrangere le regole, ma deve essere davvero amore! Altrimenti si fa male agli altri e a sé stessi.


CONDIVISIONE


  • Stabilità significa cercare di non sostituire niente e nessuno, ma di mantenere tutto. Senza una buona stabilità, non saremmo neanche protagonisti dei nostri talenti, delle nostre passioni. Spesso è comunque normale avere dei periodi di schizofrenia, e allora è importante riuscire a tornare alle origini, alle motivazioni che ci avevano portato a fare determinate scelte: in tal modo saremo più in grado di capire se continuare su quella strada, o se è meglio cambiarla.
    Questa stabilità non è un peso, un’imposizione, qualcosa che ci limiti; infatti “ Deve essere la stabilità di una casa, non di una prigione ”.

  • Quando una regola porta alla disumanizzazione, significa che è stata male interpretata.
    Le regole sono per luomo, non luomo per le regole “.

  • Per noi universitari è importante studiare e allo stesso tempo lavorare, staccare dallo studio con del lavoro manuale. Per poter essere passivi, cè bisogno di essere attivi. È una situazione diversa, cambia il punto di vista e serve per “svuotare un po’ il cervello”. Questa regola deriva da una grande valutazione del corpo, è una regola molto materialista, molto corporale. Particolarmente importante è il lavoro dei campi: era il lavoro di Abramo, tiene attaccati alla terra e al corpo, fa capire i bisogni degli esseri viventi che non parlano come noi. È importante fare fatica fisica, spremere fuori tutte le energie. È stata un’intuizione molto saggia, infatti è durata nel tempo.

  • L’amore è veramente potenza. L’amore vero è capace di tornare indietro, di pentirsi, di ripensarci. È delicato, ma anche prepotente: se il vero amore ci tocca, ci ribalta.

  • In una relazione, credere che l’altro o l’altra debba comprenderci totalmente è sbagliato! Quella di sentirsi incompresi e di dipingersi come vittima è una tentazione molto forte, che distoglie la nostra attenzione dall’essere noi a cercare di comprendere l’altro o l’altra.

  • Questa regola ha 1600 anni. I benedettini originali hanno creato tantissime famiglie, diverse tra loro, ma tutte obbedienti a questa regola. Ciò che dura per generazioni, ha sempre un che di valevole. È giusto aggiornarsi, ma non bisogna mai dimenticare ciò che è durato per generazioni.


Lorenzo Migliorini

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