giovedì 5 febbraio 2009

3° Teologico: Gesù e le parabole

Appunti dell'incontro teologico del 30/01/09
con don Cesare Pagazzi


In questo incontro ci occupiamo del rapporto di Gesù con la creazione e per farlo partiamo innanzitutto dai vangeli. Essi nascono dietro la richiesta pressante delle prime comunità cristiane di conoscere sempre più aspetti della vita di Gesù e del suo operato e non soltanto il loro significato e fine ultimo, ormai già conosciuti attraverso le lettere inviate dai discepoli alle comunità stesse.

I Vangeli dunque narrano dei viaggi, dei miracoli e dell'insegnamento di Gesù, realizzato per lo più in parabole, il cui scopo era quello di interpellare e coinvolgere l'interlocutore, senza che questo se ne rendesse del tutto conto. Si consideri ad esempio il caso di Natan che, per rendere Davide consapevole del suo peccato, si recò da lui, esponendogli un caso molto simile al suo, pur cambiando i protagonisti del racconto. Un'altra funzione delle parabole, oltre a quella primaria dell'insegnamento, è di semplificare concetti difficili attraverso racconti di esperienze quotidiane.

Eppure Gesù, di frequente, deve spiegare il senso delle sue narrazioni sia ai discepoli sia alle folle. A questo proposito, è interessante richiamarsi all'interpretazione che Paul Ricoeur da delle parabole, definendole racconti fittizi, frutto cioè della fantasia di Gesù, tramite i quali, come nelle metafore, si esprime con un linguaggio ordinario un senso straordinario.

Potremmo allora dire che le cose ordinarie di Gesù portano ad un livello più alto, cioè al Regno dei Cieli, che è presenza di Dio nel mondo (si pensi all'espressione del vangelo di Matteo: "il Regno dei Cieli è simile a ..."). Ma Ricoeur è smentito dai vangeli stessi, infatti in Luca 14 dove si dice: "Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti,disse loro una parabola (...), il racconto fatto da Gesù non è inventato, ma osservato dal vero e addirittura in Matteo 13 è proprio Gesù a spiegare ai discepoli il fine del suo metodo di insegnamento: "Per questo parlo loro in parabole: perchè pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono.". La sua intenzione è cioè di guarire i nostri sensi, mostrandoci come lui ha interpretato il mondo quale rivelazione del padre.

Egli quindi vede il padre nelle cose del mondo e si vede anche visto dalle cose del mondo, che gli dicono qualcosa del suo mistero. Basti pensare all'Ultima Cena in cui Gesù capisce che il pane sta parlando di lui - che il pane è lui, o al seme,che sembra preannunciare il suo destino ( "... se il chicco di grano caduto a terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto." Giov 12,24). E, ancora, il pastore che cura le sue pecore è immagine di Dio che accudisce i figli, o la vite è incarnazione di Cristo, di cui il padre è vignaiolo e i discepoli i tralci,ecc.

Guardare la creazione come l'ha vissuta Gesù significa, in definitiva, scoprire un vangelo che già freme in essa. Se non cogliamo questa rivelazione e non vediamo il Padre nelle cose del mondo non saremo mai in grado a nostra volta di raccontare parabole. Ricordiamo anche che nessun ambiente e situazione sono indegni di proporci un loro insegnamento, anche in casi estremi di male o dolore, stando però sempre ben attenti a non cadere nella tentazione di caricar gli eventi di in significato che magari non anno o, in altre parole, di far dire alle cose ciò che non vogliono dire.


Angelika Ratzinger

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