“Lettere da Milano”
Arrivederci…
Certo di morte ce n’è una sola, attesa, pensata, triste, bella, sempre e comunque certa, l’unica cosa certa.
Ci sono poi diversi modi di morire, e mi viene in mente l’Antologia di Spoon River, Ella e Kate morte entrambe per errore, una d’aborto l’altra d’amore, e Maggie uccisa dalle carezze di un animale, ed Edith consumata da uno strano male e tanti altri magari più normali, più belli, perché è vero, il modo in cui si muore può essere più o meno bello, in casa, come si sperava una volta, senza soffrire.
E pensare alla morte è un esercizio che non ci si dovrebbe mai stancare di praticare, non vuol dire essere macabri, significa pensare alla vita, significa meditare su ciò che facciamo qua giù, ma l’esercizio non basta mai.
Ci sono poi delle morti che sono incomprensibili, sulle quali però tanti hanno già ragionato e deciso, fin troppo, ed hanno deciso fino alla fine.
Hanno deciso di far morire ciò che in grembo è un uomo, ma ancora troppo piccolo secondo loro per essere considerato tale, ma secondo quale parametro.
Hanno deciso di far morire colui che ha ucciso, a sua volta ha portato alla morte è vero, ma dove finisce la vendetta? Dove inizia la pena? Non il perdono, la pena.
Hanno deciso di far morire chi non poteva parlare, certo soffriva, in un letto da diciotto anni.
Aveva fame e sete, bisogni che non poteva più esprimere, ma ben presenti, talmente presenti da rappresentare l’ unico legame con la vita, che però è stato artificialmente tagliato.
Ci si potrebbe chiedere in quanti modi possiamo definire un omicidio, la differenza tra far morire e uccidere, la differenza che corre nell’ usare una pistola o un’ iniezione letale, un coltello o la privazione di acqua e zucchero…quante domande, sicuramente troppe risposte.
Allora diciamo semplicemente arrivederci, a tutti coloro che sono morti, o meglio fatti morire, così inspiegabilmente, forse senza volerlo; ma sarebbe onesto poterglielo chiedere.
Andrea Ripamonti
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