“Lettere da Milano”
Mario Rossi e Anna Andersoon
Le differenze tra i popoli si notano nelle piccole cose, nei piccoli gesti che sommati assumono particolari significati, carichi di interesse agli occhi dell’osservatore. E le considerazioni possono essere svariate, serie o meno serie.
Mi è capitato pochi mesi fa di recarmi in un grande punto vendita di mobili svedesi e affini (non posso citare il marchio ma avrete capito tutti il nome).
Come nella gran parte dei centri commerciali mi è stato proposto di diventare possessore della “carta family”, la carta fedeltà insomma.
Fino a questo punto non vi biasimerei se nutriste poco interesse nel mio racconto; ma è a questo punto che Anna Andersonn ha attirato la mia curiosità e spero attirerà la vostra. Anna Andersoon non è un’avvenente commessa svedese che promuove la carta fedeltà, è un nome fittizio scritto sulla fotografia d’esempio della carta fedeltà, l’equivalente in Italia di Mario Rossi. La loro finezza è qui. In Svezia utilizzano un esempio femminile, come noi abbiamo sempre, e continuiamo a utilizzare, esempi maschili, da Tizio Caio e Sempronio a Mario Rossi. Voi direte, una sottigliezza.
Certo, la vita è fatta di sottigliezze, la società è fatta di sottigliezze, come l’obbligo in Norvegia di comporre i consigli d’amministrazione da uomini e donne in percentuali uguali, lo stesso per i consigli di facoltà, le quote rosa delle parlamentari svedesi, la “prima ministra” finlandese, lo stipendio alle donne casalinghe della Danimarca. Potrei continuare. Ma non voglio, sarebbe sparare sull’ambulanza, in una Italia dove si condanna a priori il trattamento della donna operato dal mondo islamico ma le quote rosa sembrano un danno irreparabile da non commettere.
Questione di sottigliezze. Qualcosa è stato fatto e si sta facendo, pensiamo a Confindustria, alla parità di presidenza nella Fuci, ma a volte sembra proprio che noi italiani, a Mario Rossi, ci siamo proprio affezionati.
Andrea Ripamonti
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