giovedì 5 novembre 2009

Alla ricerca della felicità, passando per l'economia


Ad oggi, sembra che il sistema economico occidentale, pur nell'incredibile abbondanza che riesce a generare, non sia in grado di dare risposte convincenti alle grandi sfide del nostro tempo: ambiente, energia, distribuzione mondiale del reddito, felicità dell'individuo sono solo alcuni esempi. Pensiamo alla questione dei cambiamenti climatici, e dell'eccessivo sfruttamento della Terra; alle difficoltà internazionali che si creano a causa della distribuzione geopolitica delle fonti energetiche; alla mostruosa e crescente disparità tra paesi ricchi e poveri; al dramma del precariato e allo stress che corrode la vita anche a chi precario non è; allo spaventoso senso di vuoto e di noia che permea la vita di chi si sente solo un ingranaggio di un enorme macchinario, lanciato in una direzione sconosciuta.
Si incolpa il sistema economico perché appare ormai sempre più evidente come a reggere il timone non sia più la politica, piccola com'è in confronto alla mastodontica rete di scambi, prestiti, investimenti così ben rappresentata dalle multinazionali, entità che spesso hanno più potere dei deboli governi; perché ogni giorno constatiamo come molta informazione sia guidata dalla convenienza economica; perché le vite di ciascuno di noi sono inserite in un complesso sistema in cui produrre e consumare sono le uniche prospettive che ci sono date.
Perché l'economia non riesce a rispondere alle grandi domande? Forse perché è orientata al solo profitto, dicono alcuni. Una parola spesso ambigua, e sempre da precisare. Si può puntare a un profitto di natura prettamente egoistico-finanziaria, il modo più semplice di vedere le cose; d'altra parte appare chiaro che l'irriducibile complessità umana e del mondo non possa essere ben rappresentata dal puro denaro, e le soluzioni che così si trovano ai problemi non siano le migliori possibili, in quanto riduttive, semplicistiche. Occorre ritrovare una nozione di profitto comune, come di bene comune e oltre: un bene-per-il-mondo, allargato a tutto il creato. Sul profitto comune si può allora basare un'economia che promuova l'Uomo e il mondo, invece di sfruttarli.
Una bella prospettiva; eppure è sotto gli occhi di tutti quanto la nostra società sia profondamente egoista. Nella sua corsa al benessere l'Uomo sembra aver smarrito la dimensione comunitaria, e così la competizione è l'unico modo di relazionarsi con l'altro, e l'affermazione di sé (anche a discapito degli altri) è la massima aspirazione personale di ciascuno. In altre parole, la nozione di profitto egoistico è quella dominante, nella società di oggi.
Cambiare? La massa inerziale di miliardi di esseri umani è immensa, e sovrumano il cambiare la direzione in cui questo macchinario è lanciato: occorre un bagno d'umiltà, e ammettere che l'unico che potrebbe cambiare facilmente le cose globalmente non ha nessuna intenzione di limitare la nostra libertà. Dobbiamo allora accettare la responsabilità che ci è affidata, e impegnarci a livello locale, nel quotidiano che abitiamo. La rivoluzione, il cambiamento che vorremmo va iniziato in noi, con uno stile di vita che testimoni che "diverso è possibile" e lo sveli come la possibilità di vita piena che abbiamo qui e oggi. Uno stile sapiente, che sappia ridimensionare le chimere del nostro tempo e valorizzare ciò che conta davvero: che si dia priorità alla felicità della persona, piuttosto che al suo benessere (la grande illusione di oggi è che le due cose coincidano!); che il possesso materiale sia ridimensionato dal pensiero della morte, che tutto livella ed elide (non a caso la morte è un pensiero tabù oggi più che mai); consumi e comodità siano soggette a una valutazione critica d'impatto sociale e ambientale (se compro, umilio gli altri? se sostituisco qualcosa prematuramente, danneggio l'ambiente? l'azienda da cui compro è etica?); una fraterna condivisione sia cercata con chi è meno fortunato.
Quello che occorre è dunque una scelta di vita, da rinnovare ogni giorno: per una vita più felice e buona, anche se meno facile. Ma è meglio ricordare a noi stessi che "facile" e "felice" sono due parole che hanno pochissimo in comune, anche se il mondo oggi ci illude del contrario.
Cosa uscirà dalla nostra scelta? Si prospettano due scenari, con tutti i grigi intermedi.
Nel caso idilliaco, il movimento dal basso per la sensibilizzazione al consumo critico, alla solidarietà, all'attenzione per l'ambiente riuscirà poco alla volta, una piccola conquista dopo l'altra, a coinvolgere l'opinione pubblica, le imprese, la politica, le istituzioni, e contribuire alla realizzazione di una società più giusta e umana.
Nel caso peggiore, l'impegno sui nuovi stili di vita avrà vita difficile: troppo grandi e possenti sono infatti le forze in gioco, dall'economia globale che punta al profitto egoistico, all'informazione che fa pubblicità invece di educare, alla politica che cerca il proprio interesse, al disinteresse e alla riluttanza dell'individuo medio ad andare controcorrente. Mentre a livello locale e personale si progredirà in quanto a sensibilità, coscienza e solidarietà, il mondo continuerà sulla sua strada, e andrà incontro a un bel po' di problemi culturali, sociali, ambientali; essere buoni e sapienti sarà come sempre difficile, e soprattutto il diventarlo senza essere passati dalla rischiosa tempra del peccato o dell'ignoranza e indifferenza che non si curano degli altri, danneggiandoli. Ma non abbiamo dubbi che la bontà, che è l'amore come stile di vita, riuscirà sempre a resistere almeno a livello della persona: per la felicità che dona. E resterà la chiave di comprensione e di senso, disponibile per chi la desidera.

Francesco Grossi

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