con don Cesare Pagazzi
Qoelet 2, 18-26
Riprendiamo il testo di Qoelet ricordando che eravamo arrivati al punto di massima depressione del sapiente, che aveva in odio la vita a causa del pensiero della morte, che tutto livella. Si dispera per tutta la fatica che ha fatto per vivere al massimo, perché una volta morti è inutile, e tutto si disperde come un libro dimenticato in una biblioteca.
Ma al v.24, ecco la soluzione di Qoelet:
[24] Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio.
[25] Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui?
[26] Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d'ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento!
Questo "mangiare, bere e godere", a lungo interpretato come un carpe diem, un incitamento a darsi alla pazza gioia, è la chiave che il sapiente Qoelet trova per risollevarsi dalla paura della morte. Osserviamo innanzitutto che l'invito del sapiente è diverso dall'esempio evangelico dell'uomo dal ricco raccolto, che dice a se stesso: "anima mia: mangia, bevi, datti alla gioia".
Perché è diverso? Tutto sta nei versi successivi, in cui scopriamo che Qoelet riconosce che anche le cose materiali arrivano da Dio, e le riconosce come dono, a differenza del ricco del Vangelo, che riteneva di averle guadagnate da sé.
La prima tentazione, di fronte a grandi difficoltà, è di assolutizzare il male in modo pessimista, come per "mettere le mani avanti", e proteggersi da ulteriori scivoloni. Questo metodo però blocca nella propria situazione, visto che per paura di stare ancora peggio si evita di lottare: è un metodo che elimina la speranza. Qoelet invece distingue: per lui esiste qualcosa di buono, non è tutto vanità e male. Da questo primo passo si può ripartire per vivere. È proprio del sapiente il distinguere, mentre è dello stolto e del Male il confondere tutto in un caos indistinto.
Qoelet ha una spiritualità "del deserto": vede la vita ("tutto è vanità") come un arido e letale mare di sabbia, ma che pure contiene delle vivificanti oasi. Passando di oasi in oasi, la vita è possibile, e si riesce ad attraversare tutto il deserto. Il sapiente non ha nulla a che spartire con visioni naif del mondo, immaginato come un piacevole giardino in fiore: queste visioni sono ingannevoli, veri e propri miraggi che non preparano alla durezza della vita, e conducono alla morte, o almeno a grandi sofferenze.
È interessante notare come Qoelet riacquisti il senso della vita passando per l'esperienza sensibile del mangiare e bere, e quindi attraverso il suo corpo. La fame e la sete lo costringono a fare qualcosa, e il suo corpo lo premia con la soddisfazione più semplice e per questo vera, quella della sazietà. Qoelet crede a ciò che il suo corpo gli dice, e cioè che esiste qualcosa di buono, per cui vale la pena vivere; e proprio il suo corpo è stato creato da Dio, che in un certo senso ha così inscritto nell'uomo un modo per conoscerLo, ha dato all'uomo un modo per arrivare a lui. I bisogni del corpo rimandano così a Dio, padre e nutritore (è lui che dà a Qoelet il nutrimento). Si può dire che i bisogni sono il "linguaggio minimo" della speranza, perché rimandano ad essa.
Occorre imparare da Qoelet la spiritualità del deserto, e non basare la nostra fede sulla gioia, o sulle belle esperienze: ci sono periodi della vita in cui la fatica e la sofferenza dominano tutto, e allora cosa succede alla fede? Qualcosa di importante come la fede va basata su qualcosa di solido; e anche dalla preghiera del Padre Nostro arriva l'indicazione di capire i bisogni, per arrivare al Padre: "dacci oggi il nostro pane di oggi": la speranza si nutre con il pane quotidiano, non con l'eccezionalità di una torta alla panna!
"Gradito a Dio" è chi sa godere la vita, mentre fallisce chi ha come obiettivo l'accumulo, e il peccato è la pena che ottiene.
Ma attenzione, già alla fine del v. 26, Qoelet ribalta tutto, esclamando nuovamente "tutto questo è vanità". Ha già cambiato idea? Il fatto è che per quanto sapiente, Qoelet è un uomo, e per questo soggetto a cambiamenti repentini, "non-linearità", proprio come la vita. A volte basta un evento, e passiamo dalla gioia al dolore e viceversa, e le nostre convinzioni vacillano. È confortante che nella Bibbia sia presente questo fattore molto umano, che non dobbiamo temere, ma che ci invita a costruire su fondamenta di solida roccia le cose a cui teniamo di più.
Infine, una piccola riflessione: i bisogni, come fame e sete si sentono più spesso quando non c'è benessere. Nel nostro mondo occidentale sono spesso solo un ricordo, o una sensazione relegata ai momenti di sport, o in Quaresima. Possibile che il benessere, risolvendo i bisogni sul nascere, affievolisca il bisogno di Dio? In realtà, la dinamica del bisogno si estende molto al di là dei bisogni fisici: anche per chi non è misero, potranno sempre esserci mancanze: di felicità, di affetti e relazioni, di salute, di soldi... In questi spazi vuoti che suscitano domande sta il nostro trampolino per trovare Dio.
Francesco Grossi
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