Quando parliamo di carità siamo abituati ad associare questo termine a molti e diversi concetti: per esempio pensiamo alla benevolenza, all’amore, al dono di sé agli altri, all’umiltà, alla pazienza… Non ci viene subito in mente invece l’elemosina. “Fare la carità”,infatti, è un'altra espressione che equivale a “fare l’elemosina”. Quest’ultimo concetto è molto importante ma spesso è tralasciato dalla considerazione altrui.
Il termine “carità” è stato tradotto dall’originale greco “agape”. Il significato di agape viene spesso contrapposto a quello di eros: quest’ultimo pretende, è oscuro, è tellurico, mentre l’agape dona, è mite, è paziente. In realtà non possiamo ritenere la carità come l’opposto in tutto e per tutto dell’eros, perché quest’ultimo è anche brama di conoscenza.
S. Paolo è colui che vede nell’agape una componente fondamentale dell’essere cristiano. Infatti dice: “Tutto sia fatto con agape”. Se un’azione, all’apparenza giusta,è fatta senza agape, risulta non giusta. Inoltre la carità definisce Dio.
La parola “ carità” ricorre moltissime volte nel Nuovo testamento, mentre non la troviamo nel greco extra biblico. Vi è il verbo agapao , ma non agape. Infatti tale termine è stato introdotto con la traduzione della Bibbia da parte dei Settanta.
Doglio, biblista e teologo, analizza il processo di traduzione del verbo “agapao”. Secondo una prima ipotesi, potrebbe derivare da una radice indoeuropea “-gab” che allude al significato di “accogliere”, oppure dal sanscrito “dare la mano”.
Un’altra teoria è che derivi dalla radice greca “-agà” = “molto”.
La carità dunque è l’esperienza della ricchezza suscitata dalla sorpresa, come un ospite che rimane sorpreso dallo straniero che viene ospitato. Non equivale semplicemente all’aiutare qualcuno perché l’altro ha bisogno, ma dato che è sorpresa per il molto, deriva dal riconoscimento del merito che nasce prima del riconoscimento del bisogno. La carità dunque equivale al dare perché si riconosce il valore altrui, si dà all’altro proprio perché l’altro vale.
Un’altra teoria sulla parola “agape” è che contenga la radice indoeuropea “-p” che allude alla protezione e alla custodia. Quindi la carità vede nell’altro un valore, lo riconosce e quindi lo protegge.
Nel libro 24 dell’Iliade Priamo vuole onorare il corpo del figlio Ettore, tenuto da Achille. Priamo prega Zeus che si commuove di fronte al suo dolore. Perciò il dio incarica Ermes di accompagnare Priamo alla tenda di Achille. Una volta assolto il compito, Ermes scompare perché ritiene sconveniente che un uomo veda quanto amore gli dei hanno per gli uomini. Infatti, per gli dei greci, era sconveniente interessarsi di un mortale. Il cristianesimo sconvolge questa concezione. Infatti Dio ci dona perché ci ritiene meritevoli del dono, riconosce il nostro valore. E la grandezza dell’amore di Dio si dimostra anche nel fatto che non siamo stati noi ad amarlo per primo. Per questo si chiamano virtù teologali: sono le forze di Dio.
Dio dona perché è certo del valore della vita di ognuno. Anche il perdono è carità, perché Dio riconosce il nostro valore nonostante i nostri peccati. La logica della carità è quella del porgere l’altra guancia: riconoscere il valore dell’altro anche se compie del male nei nostri confronti.
Cassandra Karapatakis
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