domenica 20 gennaio 2013

I° Biblico: Giacobbe e Giuseppe

Appunti dell'incontro biblico del 12/10/2012 con don Cesare Pagazzi


Giacobbe è figlio di Isacco e Rebecca ed è fratello gemello di Esaù.

Gen 25,21: racconta che Isacco supplica il Signore per sua moglie Rebecca, perché era sterile. Il Signore lo esaudisce e la sua consorte resta incinta.

Isacco e Rebecca sono in attesa di due terribili fratelli: Esaù e Giacobbe, i primi gemelli di cui parla la Bibbia. La lotta per il posto segna la vita dei due fin dal concepimento; infatti la madre Rebecca percepisce i due gemelli mentre si urtano e si maltrattano già nel suo grembo (cfr. Gen 25,22).

Gen 25,24-26: descrive il momento del parto di Rebecca come una gara: Esaù esce per primo, ma letteralmente tallonato dal fratello che trattiene il vincitore per il calcagno, nell’estremo tentativo di ribaltare la situazione a proprio favore.
Per questo il secondo viene chiamato “Giacobbe”, vale a dire “Tallonatore”.

Una volta adulti, i due fratelli si specializzano in ambiti diversi:
Esaù è un abile cacciatore mentre Giacobbe preferisce il lavoro amministrativo dell’accampamento (cfr. Gen 25,27).
(Esaù è il figlio prediletto del padre mentre Giacobbe è il figlio prediletto della madre).

Gen 25,29: descrive come Esaù vende la primogenitura a Giacobbe per un piatto di minestra: “Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: « Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: « Vendimi subito la primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura? ». Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura….”.

In quest’incontro fuci viene inoltre trattato il tema della rivalità fraterna.
Essa contribuisce alla definizione dell’identità e tuttavia resta il fatto che il conflitto lascia sempre una traccia di risentimento e di sofferenza. Accorgersi (o immaginare) che il fratello è “più amato”- perché è il più grande, o il più piccolo; perché è diligente, o scapestrato; perché è il vincente nato, o il perdente nato - non è mai indolore e lascia sempre in bocca l’amaro sospetto che non ci sia posto per tutti.
Bibliografia: G.C. PAGAZZI, C’è posto per tutti. Legami fraterni, paura, fede, Vita e Pensiero, Milano 2008.

Caterina Pezzoni

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