La Grazia, χάρις in Greco (si
legge “Charis”) assume due accezioni diverse nel periodo arcaico
e in quello successivo, in cui si sviluppa la Polis.
Achille si ritira dalla guerra di
Troia perché Agamennone non corrisponde alla sua Charis: l’eroe
greco combatte e vince per il suo comandante, ma quest’ultimo non
lo considera e gli requisisce gran parte del suo bottino, tra cui la
schiava Briseide.
La Charis è questo scambio
reciproco e dovuto di favori. È una visione orizzontale di Grazia.
Una grazia che si corrisponde tra pari. Nel periodo arcaico non si è
ancora sviluppata la Polis, non c’è legislazione, si garantiscono
quindi le relazioni con favori scambievoli: se io ti faccio Grazia mi
aspetto che tu la ricambi per potermi compiacere.
COM-PIACERE: io ti faccio un
piacere, una cosa a te gradita, e mi compiaccio (= provo piacere con
te) perché tu mi fai capire che apprezzi il piacere che ti ho fatto.
Grazia, Charis, NON è in questo
periodo un regalo disinteressato.
La Grazia si realizza quando c’è
la Giustizia.
La successiva accezione che
viene data alla Charis, dai Greci è di tipo verticale. Data cioè da
un superiore verso degli inferiori.
In questo periodo si sviluppa la
Polis, i favori reciproci non sono più necessari, sostituiti dalla
legislazione cittadina.
Qui si insinua una visione distorta
della Grazia, come un dono che un “capo” fa ai suoi “sottoposti”
disinteressandosi del loro contraccambio (che sarebbe infinitamente
piccolo rispetto alle sue possibilità), che quindi, non essendo più
necessario, diventa inutile e non più presente.
Purtroppo è spesso questa la
visione che si ha della Grazia di Dio verso gli uomini. Ma non è
così!
Dio ritiene degno di Lui ogni
nostro regalo. Cioè ogni nostro tentativo di ringraziare e di
imparare a vivere. Il suo interesse per il nostro contraccambio è il
segno della sua stima nei nostri confronti.
La GRAZIA come BELLEZZA
Alla Grazia si associa spesso il
concetto di bellezza, che prende però sfumature diverse.
-La bellezza come armonia e
proporzione, presente fin dall’antica Grecia, dove il termine
Charis rimandava alle “tre grazie”, le dee che spandevano una
bellezza buona, sensuale e fine.
-La bellezza del sublime. SUB-LIMES
che letteralmente significa “sotto il limite”, qualcosa quindi
che non rispetta le regole, ma che ci attrae. È un termine che
associamo allo splendore, ma non è detto che nasca dalla perfezione.
È qualcosa di difforme alle nostre attese. È la bellezza di un
arte, come ad esempio quella di Picasso, che non ha più nella
proporzione il suo fulcro ma si mostra quasi come deforme.
Superato il suo significato arcaico,
la Bellezza è un dono gratis ma vuole sempre qualcosa in cambio:
esige di stare alla sua altezza.
La bellezza disturba, perché si
espone e si impone e non è possibile non prendere una posizione a
riguardo.
Anche se uno non volesse saperne
nulla, la bellezza non può essere ignorata, la bellezza si impone,
ti rapisce, è un “colpo di grazia”. Davanti a lei possiamo
voltare la faccia dall’altra parte oppure guardarla, rifiutarla o
accettarla. Impone sempre una scelta, una presa di posizione.
“Ave o Maria, piena di Grazia”.
In Greco il termine κεχαριτωμένη
che si pronuncia kecharitoméne, è un
passivo e si tradurrebbe come “riempita di Grazia”. La Grazia è
infatti qualcosa che inizialmente noi subiamo. L’essere belli,
simpatici, intelligenti, è qualcosa che ci è stato dato, un dono,
una grazia, a noi il compito di stare all’altezza.
Un esempio di
sublime lo possiamo leggere nelle piante: sono belle e luminose, ma
si nutrono dalle radici nodose e deformi, circondate dalla terra
umida.
Non dobbiamo
aver paura del nostro deforme e di quello degli altri. Non bisogna
vivere come se “l’humus” non esistesse, ma neanche come se
esistesse solo “l’humus”. Bisogna avere il coraggio di scendere
a conoscere il nostro deforme così da poter veramente splendere e
slanciarci verso l’alto come i rami delle piante. Lo mostra lo
stesso Dante nella Divina Commedia, dove per arrivare alla Trinità
bisogna passare per l’Inferno.
Maria Melacarne
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